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Nella realtà clinica pochi  elementi discriminanti rispetto all’emicrania, spesso di non facile acquisizione. Aspecifico anche l’ armamentario terapeutico. Verso un modello di continuum ?

 

Una Cenerentola da ridefinire:

la cefalea di tipo tensivo

 

di Domenico Cassano (*)

 

La cefalea di tipo tensivo  (CTT) è la più frequente tra le cefalee primarie, quella che s’identifica col “comune mal di testa” che ciascuno di noi ha esperito almeno una volta nella vita.

Gli studi epidemiologici riportano tassi di prevalenza elevati nella popolazione generale, ma ampiamente variabili (tra il 30 e l’80 %) a causa di criteri diagnostici non uniformi e di diverse metodologie  impiegate.

E’ altresì la meno definita tra tutti i tipi di cefalea sia per la variabilità clinica che ha reso problematico l’iter diagnostico, sia per lo scarso interesse suscitato nella comunità scientifica in quanto scarsamente incidente sulla qualità di vita. Purtuttavia recenti osservazioni hanno evidenziato che un’evoluzione verso la cronicizzazione può implicare  significativa disabilità, pur in misura generalmente inferiore rispetto all’emicrania, nonché l’acquisizione di particolari abitudini tra cui l’over-use di analgesici.

Variamente denominata in passato (cefalea psicogena, psicomiogena, da stress, etc.), nel 1962 veniva indicata, dalla  Ad Hoc Committee on the Classification of Headache, con  l’acronimo cefalea muscolo-tensiva in quanto si identificava nella contrattura muscolare pericranica un ruolo patogenetico di rilievo; purtuttavia i parametri clinici  venivano definiti, in tale contesto,  in maniera poco incisiva.

E’ con la Classificazione IHS del 1988 che il termine muta in cefalea di tipo tensivo, a sottolinearne l’incertezza patogenetica mentre i criteri diagnostici vengono formulati in contrapposizione a quelli dell’ emicrania utilizzando parametri distintivi quali durata, frequenza, tipo di dolore e fenomeni associati.

La revisione IHS del 2004 realizza un ulteriore affinamento dei parametri temporali, consentendo dunque una migliore definizione delle caratteristiche cliniche, di frequenza e decorso di queste forme rendendo più agevole l’individuazione di quegli elementi prognostici che potrebbero determinare l’evoluzione  verso la cronicizzazione.

Dal punto di vista patogenetico, negli ultimi 10 anni numerosi studi hanno ridimensionato il ruolo dei fattori psicogeni (considerabili più come elementi di scatenamento che non causali) enfatizzando altresì  l’importanza di meccanismi neurobiologici nella patogenesi del dolore. Mancano evidenze certe di un ruolo rilevante di fattori genetici in questa forma di cefalea.

 

Come individuare una cefalea di  tipo tensivo ?

Specificando alcuni parametri distintivi del dolore - nella fattispecie qualità, sede ed intensità – esso nella CTT è definito tipicamente gravativo-costrittivo (non pulsante), bilaterale, non disabilitante.

Solitamente il paziente lo riferisce in modo variabile: sensazione di pesantezza, fascia intorno al capo, casco, sensazioni particolari (fitte, bruciori superficiali,  senso di confusione). Tale parametro qualitativo rappresenta un elemento non discriminante e di non facile acquisizione. Infatti non infrequentemente si ascoltano storie del tipo: “inizia come un dolore continuo, poi a volte pulsa, poi torna continuo come un peso sulla testa”. In tal caso, l’elemento caratterizzante è rappresentato dal fatto che il dolore non pulsa per la maggior parte del tempo. Per cui  è importante definire il carattere della pulsazione: se trattasi, cioè, di pulsatilita’ arteriosa o di una  ondulazione dell’intensità del dolore; in quest’ultimo caso il dolore va definito ondulante e non pulsante.

Purtuttavia, nella pratica clinica il 17.5 %  dei pazienti riferiscono dolore pulsante (Rasmussen et al, 1991).

La localizzazione del dolore “tipicamente bilaterale” rappresenta altresì un elemento non discriminante, anche se utile all’orientamento diagnostico. Potrebbero ingenerare confusione possibili irradiazioni che mimano una lateralizzazione. Sono possibili “eccezioni alla regola”: un 10.6 % dei casi riferisce localizzazione unilaterale (Rasmussen et al, 1991).

L’intensità del dolore è lieve-moderata: essa va riferita al momento di massima espressione del dolore e consente al soggetto di poter continuare a svolgere le normali attività. Nella pratica clinica, nel 27,7 % dei casi  il dolore peggiora dopo attività fisica (Rasmussen et al, 1991).

Da ricercare con accuratezza, perché indispensabili per la diagnosi differenziale, sono i fenomeni di accompagnamento: si consideri che il vomito non è mai presente. L’anoressia è riscontrabile in circa il 18 %  dei casi ed è definibile come  nausea, senso di vomito, fastidio alla vista o al pensiero del cibo.

Riguardo alla foto-fonofobia, secondo la classificazione vigente essi non dovrebbero essere presenti contemporaneamente; purtuttavia sono state rilevati in co-presenza nel 10% degli intervistati, anche se di intensità lieve  (Rasmussen et al,1991).

Altri sintomi riferiti sono rappresentati da astenia, disturbi del sonno o fastidio generale di modesta entità.

In sintesi, la principale differenza tra la CTT e le sindromi emicraniche va proprio individuata nel grado di intensità dei sintomi associati, sicuramente più elevato in queste ultime.

Rispetto all’emicrania senz’aura paucisintomatica, la diagnosi di CTT va formulata secondo un criterio “riduttivo”, vale a dire sulla base della mancanza di segni sufficienti per porre diagnosi di emicrania.

 

La terapia : un armamentario vasto ma aspecifico

Il trattamento della CTT è uno dei meno definiti: a  tutt’oggi manca un protocollo terapeutico codificato secondo linee guida metodologicamente valide.

Sia che consideriamo la terapia dell’attacco ( indicata per le forme episodiche a bassa frequenza -  meno di 4 giorni al mese- e a bassa disabilità ) sia che consideriamo la terapia preventiva (necessaria per le forme episodiche frequenti  -più di 4 giorni al mese-  e  quelle croniche) possiamo notare come i farmaci  indicati siano non specifici,  mutuati da altre categorie.

Per il trattamento dell’attacco, farmaci con buona evidenza di efficacia sono rappresentati da paracetamolo, ASA, ibuprofene, ketoprofene e naproxene; anche per i COX-2 vi sono evidenze di efficacia. In caso di inadeguata risposta, può rendersi necessario ricorrere a dosi più elevate oppure alla somministrazione di analgesici per via parenterale o, ancora,  all’uso di preparati di combinazione (analgesici più caffeina, codeina, benzodiazepine). Questi ultimi, se risultano sicuramente più efficaci delle singole molecole, possono facilitare fenomeni di dipendenza o cefalea da sospensione, per cui vanno usati con cautela,  in caso di scarsa risposta ad altri trattamenti. Per motivi analoghi, vanno evitate le combinazioni con barbiturici.

Per la terapia preventiva, tra i farmaci testati, citiamo gli antidepressivi (tra i più efficaci,  l’amitriptilina ma anche i più moderni SNRI), i miorilassanti (ciclobenzaprina, tizanidina), diazepam, topiramato, triptofano, magnesio, tossina botulinica.

La terapia non farmacologica rappresenta un’ulteriore opzione terapeutica, non sufficientemente validata ma comunque utile nell’àmbito di un approccio multidisciplinare al trattamento di questi pazienti. Include varie tecniche, utilizzabili in maniera singola o anche associata: citiamo, in particolare, il training di rilassamento, il biofeedback, l’agopuntura.

Anche le terapie fisiche quali la fisioterapia, l’elettrostimolazione transcutanea – TENS, si sono dimostrate utili nei pazienti con cefalea cronica, pur nella mancanza di studi controllati.

 

Concludendo

Come abbiamo visto, la cefalea tipo tensivo rimane a tutt’oggi poco definita sul piano clinico. Ad ogni buon conto, un armamentario terapeutico vasto, anche se non specifico, può porre l’operatore in grado di poter conseguire risultati soddisfacenti.  Si consideri pure che gran parte di questi soggetti - soprattutto quelli con CTT di tipo cronico - mostra un importante effetto placebo.

Al di là di una revisione dei criteri diagnostici, concepiti nell’àmbito di un’impostazione rigidamente categoriale, ci si chiede se i tempi non siano maturi per un nuovo approccio, di tipo dimensionale, che trova il corrispettivo nel modello di un continuum  - che dal sintomo premonitore passa per l’aura e dunque per una cefalea lieve (cefalea tensiva) fino all’emicrania probabile e  quindi all’emicrania definita -, sulla scorta di recenti evidenze neurofisiologiche  (ipotesi della convergenza clinico–fisiologica , Cady  2004).

Analoghi cambiamenti sono in corso in campo psichiatrico: per il DSM V, che dovrebbe fare comparsa nel 2011, sono previsti per varie categorie diagnostiche un’impostazione dimensionale (in virtù della quale i disturbi d’ansia da una ventina passano a quattro) e la contemplazione dei disturbi da comorbidità.

Sarebbe interessante aprire un dibattito, per conoscere altri punti di vista sull’argomento.

 

                                                                         

   bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb Ambulatorio Territoriale delle cefalee
ggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggggDistretto 60, Nocera Inferiore, ASL SA

 

 

 

 

 

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