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Il ruolo dell’Emicrania nella genesi dell’arte di Giorgio de Chirico: parte prima

 

Quando il dolore diventa creatività

di Giacomo Visco (*)

 

La storia familiare

Giorgio de Chirico nasce  a Volos in Grecia il 10 Luglio 1888 da famiglia nobile italiana:  il padre Evaristo, ingegnere delle ferrovie, costruisce reti ferroviarie in Bulgaria ed in Grecia, la madre Gemma Cervetto è una discendente della buona borghesia genovese. Nel 1891,  dopo tre anni nasce ad Atene il fratello Andrea, che in seguito assumerà lo pseudonimo di Alberto Savinio per la sua attività di musicista, letterato e pittore.

 

 

dechirico in costume da euzono-1892

Giorgio de Chirico all’età di 4 anni in costume tradizionale da “euzono”

 

“Giorgino” trascorre la maggior parte della sua infanzia nella ristretta cerchia della famiglia, anche per i continui spostamenti di residenza a cui il padre costringeva i familiari a causa della sua attività professionale. La sua permanenza in Grecia si protrae fino all’età di 18 anni; ciò costituisce per lui una esperienza formativa determinante: i ricordi infantili e la classicità greca, con i miti e l’arte, rappresenteranno due stelle polari nella sua arte.

Nel 1906, con la morte del padre Evaristo, la madre decide di trasferire la famiglia a Monaco di Baviera, dove Andrea inizia a sviluppare il suo istinto musicale e Giorgio quello pittorico.

Prima di iniziare a considerare gli aspetti salienti dell’arte del Maestro in relazione alla malattia emicranica, voglio ricordare alcuni importanti elementi  della sua anamnesi familiare che potrebbero essere illustrativi di alcuni atteggiamenti su cui tornerò in seguito.

  • Il padre Evaristo è spesso in cattive condizioni di salute ed il Maestro lo ricordava spesso pallido, emaciato, curvo, di aspetto vecchieggiante. Ricordo che il pallore facciale potrebbe essere il segnale di fenomeni vasocostrittivi di un attacco emicranico, fenomeno da alcuni definito “emicrania bianca”. Altra caratteristica del padre Evaristo è la “leucofobia”, paura del bianco, che può essere considerata una varietà della tipica fotofobia dell’emicrania. A causa di questo fenomeno, de Chirico in Ebdomero riferisce che in famiglia venivano usate solo delle tovaglie colorate per imbandire la tavola.
  • Lo zio Gustavo è affetto da una cronica malattia intestinale che potrebbe far sospettare una forma di “Emicrania addominale”. Inoltre, egli ha avuto dal medico il consiglio di mangiare carne tutti i giorni per contrastare i fenomeni dolorosi; essendo molto religioso si fa rilasciare uno speciale  “nulla osta” per espressa pronuncia della Autorità Ecclesiastica: “morbi intestinalis causa licet Gustavo de Chirico carnem in die veneris edere”(“a causa della malattia intestinale si autorizza Gustavo de Chirico a mangiare carne il Venerdi”).
  • Lo zio Alberto soffre di una grave fobia dell’aria, per cui dall’età di trent’anni rimane praticamente confinato in casa, con le finestre tappate, avendo chiuso ogni minimo buco nel suo appartamento per paura che germi contaminanti potessero entrare in casa. Oltre a ciò, egli prende in affitto anche il sottostante appartamento che lascia però disabitato e sigillato affinchè l’aria non filtri nella propria casa. Presenta, inoltre, la fobia dell’abisso, per cui cammina per casa trascinando una sedia davanti a sè in modo da evitare di poter sprofondare nel vuoto in un cedimento del pavimento. Tale ultima condizione viene da qualcuno interpretata come la conseguenza di una momentanea emianopsia dovuta ad un’aura emicranica.
  • La zia Olimpia è probabilmente  affetta da una nevrosi ossessiva che la costringe a strofinare il cranio su svariate superfici, al punto da distruggere la sua splendida chioma, fino a diventare calva.
  • Il fratello Andrea, alias Alberto Savinio, soffre della stessa patologia di Giorgio: nei suoi racconti vi sono riferimenti ad episodi di derealizzazione e trasformazione corporea e nei quadri compaiono zigzag ed immagini geometriche da ricondurre ad aura emicranica.

 

Un tipo sui generis

A sua volta il Maestro ha un carattere difficile; è sovente malinconico, scontroso, suscettibile e metereopatico; è inoltre egocentrico, vanitoso e narcisista, al punto da considerarsi il più grande pittore di tutti i tempi e firmare molte opere come “Pictor optimus”. E' goloso, pedante e taccagno (un dì parlando con un amico gli riferisce di aver fatto un sogno bellissimo: si era addormentato su un materasso pieno di banconote da diecimila lire). Egli ha inoltre la fobia dell’acqua, forse condivisa con Picasso, al punto da rifiutare di lavarsi: durante la sua permanenza in America, in una occasione, i fotografi Vogue gli chiedono di posare nudo ed egli rifiuta per non mostrare i buchi nella biancheria intima.

La sua opera artistica, pur se prevalentemente pittorica, si è realizzata anche in campo letterario; come scrittore ha composto tre opere con carattere sostanzialmente autobiografico: Ebdomero (1929), Dudron (1940) e  “Memorie della mia vita”(1945).

L’opera pittorica si svolge nell’arco di poco meno di 70 anni, a partire dal 1909 fin quasi alla sua morte, che avviene il 20 Novembre del 1978 in Roma.

 

 

I periodi dell’ arte di de Chirico

Tre sono i periodi distinguibili nell’ambito della sua produzione: metafisico, neoclassico e neometafisico.

Il periodo metafisico dura circa un decennio dal 1909 al 1919;  è considerato universalmente quello migliore quanto ad espressione artistica ed ha inizio con il primo quadro metafisico, “Enigma di un pomeriggio di autunno”. L’arte espressa in questo periodo contribuisce alla definizione di una scuola metafisica, invero assai poco numerosa dal momento che annovera, oltre al Maestro, il fratello Andrea, (alias Alberto Savinio), ed altri due esponenti, in realtà  quasi due imitatori, molto lontani dai livelli artistici di de Chirico: Filippo De Pisis e Carlo Carrà (che condivide, con il Nostro, un periodo di ricovero per malattie nervose nell’Ospedale militare a Ferrara, dove questi viene ricoverato, per disturbi neurologici, durante la prima guerra mondiale).

Il periodo neoclassico è databile al 1920,  in seguito al “terremoto critico” che rappresenta  la svolta in cui egli abiura le precedenti opere e l’arte contemporanea; in questa fase della sua vita,  egli studia antichi trattati, frequenta musei e dà inizio alla sperimentazione di materiali che possano ricondurlo a ripristinare l’ “olio emplastico” che sarebbe stato usato dagli antichi maestri dell’arte fiamminga per i loro capolavori e portato segretamente in Italia da Antonello da Messina. Egli parla del suo cambiamento artistico ed interiore in uno scritto a Breton nel 1922 :

“…questo magnifico romanticismo, che noi abbiamo creato, mio caro amico, quei sogni e quelle visioni che ci sconvolgevano e che, senza controllo, senza sospetti, noi abbiamo gettato sulla tela e sulla carta, tutti quei mondi che noi abbiamo dipinto, disegnato, descritto a parole e che costituiscono la vostra poesia, quella di Apollinaire e qualche altro, i miei dipinti, quelli di Picasso, di Derain, e di qualche altro, sono sempre li, mio caro amico, e non e stata ancora detta l’ultima parola su di essi; il futuro li giudicherà molto meglio di quanto non facciano i nostri contemporanei e noi possiamo dormire tranquillamente. …mi sono accorto, si, infine, mi sono accorto che cose terribili accadono oggi in pittura, e che se i pittori continuano su questa strada andiamo verso la fine…la malattia cronica e mortale  della pittura oggi è l’olio, quell’olio che è ritenuto la base di tutta la buona pittura. Antonello da Messina che per la storia avrebbe portato il segreto della pittura ad olio in Italia dalle Fiandre, non fece mai questo.…Il mistero del colore, la luce, la brillantezza e tutta la magia della pittura…queste qualità della pittura aumentano prodigiosamente, come illuminate da una nuova luce, e pensai con tristezza agli impressionisti, ai Monet, ai Sisley, ai Pissarro e a tutti quei pittori che credettero di poter risolvere con la loro tecnica il problema della luce, quando sulla loro tavolozza c’era già la sorgente stessa delle tenebre…”.

Con la crisi economica degli anni trenta ha inizio un periodo difficile anche per de Chirico, dal momento che i suoi quadri non vengono venduti e lui stesso deve rinunciare al lusso della propria casa per una abitazione più modesta. Egli si iscrive al Partito fascista con la speranza, poi delusa, di ottenere un posto di insegnante; alla fine decide di trasferirsi in America, ove resta dal 1936 al 1938. Qui la sua arte riscuote grandi successi con numerose esposizioni; egli collabora anche con il mondo della moda (Vogue, Harper’s Bazar) e le sue opere (sia quelle realistiche che quelle metafisiche) influenzano anche la Pop Art americana.

Dopo una parentesi in Francia, il Maestro, nel 1944, torna definitivamente in Italia.

Dal dopoguerra si inizia il terzo periodo, quello neometafisico, che durerà fin quasi alla morte dell’artista. In questo periodo de Chirico si rende conto che, nonostante il valore della sua arte, sono le opere iniziali ad essere più apprezzate dalla critica e dal pubblico e meglio valutate economicamente. Dal momento che è molto attaccato al vile denaro inizia a ripercorrere la traccia metafisica, dipingendo quadri metafisici, spesso ripetendo temi precedenti: infatti produrrà svariate opere dal titolo “Piazza d’Italia” e ben 18 versioni de “Le muse inquietanti”.  Questo ritorno all’arte metafisica è da qualcuno ritenuto conseguenza del suo desiderio di riscuotere altri successi, anche economici, come nel primo periodo metafisico. Nonostante ciò, e malgrado egli consideri le sue opere attuali ancor più pregevoli per la maturità artistica raggiunta, non ottiene il successo sperato e le nuove opere non hanno un gran successo di critica e pubblico. Egli non accetta questo giudizio critico, nè che un’opera del periodo iniziale possa valere più di dieci volte rispetto ad una del periodo neometafisico.

A questo punto, oltre a ricorrere alla riproduzione di molteplici versioni delle prime opere, più fortunate, egli comincia a falsificarne la data, per due probabili motivi. Uno meramente materiale: retrodatando la data puo sperare che l’opera abbia una valutazione maggiore; l’altro con uno scopo polemico: prendersi gioco di quegli stessi critici d’arte che non hanno adeguatamente apprezzato le sue ultime opere, mettendoli in difficoltà sulla valutazione delle stesse. La sua vena polemica lo porta, addirittura, a disconoscere la paternità di alcune sue opere allo scopo di deridere i critici, incapaci, in tal modo, di riuscire a distinguere un vero da un falso. Le conseguenze di tale atteggiamento sono rilevanti perchè il Maestro si trova impegolato in una serie di “querelles” giudiziarie. Infatti, da un lato egli intenta numerose cause per contraffazione allo scopo di disconoscere diverse opere; dall’altro deve comparire come imputato di simulazione e falso ideologico in numerosi processi intentatigli da critici, musei e singoli privati, allo scopo di veder riconosciuta la presunta paternità di tali creazioni. Naturalmente queste vicissitudini fanno sì che il suo carattere, già diffidente, peggiori ulteriormente, aggravando la sua tendenza ad isolarsi e rifiutare di parlare in pubblico, quasi per non tradirsi con affermazioni avventate. Nel ’74 viene nominato Accademico di Francia, nel ’76 Grande Ufficiale della Repubblica Democratica Tedesca e nel ’78 al novantesimo compleanno viene commemorato in Campidoglio; muore a 90 anni il 20 Novembre del ’78, dopo aver continuato la sua attività artistica fino a pochi mesi prima della morte.

In una intervista rilasciata, all’intervistatore che gli chiede, per l’ennesima volta, la spiegazione del cambio stilistico, nel 1919, dallo stile metafisico a quello classico, un po’ infastidito, egli ha modo di rispondere: “Ho dipinto quadri metafisici e ho dipinto quadri realisti. Nei quadri realisti non c’era bisogno che io mettessi della metafisica e nei quadri metafisici non c’era alcuna ragione che io mettessi del realismo. E come uno che lavora con due mani, la destra e la sinistra”.

 

L’emicrania come “rivelazione”

Nel 1988 il neurologo inglese Geraint S. Fuller ed il critico d’arte Matthew V. Gale, pubblicano su BMJ un breve scritto in cui ipotizzano che i sintomi presentati da de Chirico sono riconducibili ad una patologia emicranica  e più specificamente ad una Emicrania con Aura ed Emicrania Addominale. Quest’ultima era stata definita da Paul Moebius, alla fine dell’Ottocento, “Haemicrania sine haemicrania”; essa è anche considerata una sindrome periodica dell’infanzia, manifestandosi con algie gastriche o addominali, nausea, vomito, pallore, sudorazione, vertigini, e solo occasionalmente cefalea; colpisce per lo più bambini (3-10 anni) ed è osservabile in età scolare, meno frequentemente nell’adolescenza, occasionalmente nella maturità. Gli attacchi possono durare alcune ore; può essere compresente l’aura; è frequentemente ereditaria. Le manifestazioni algiche addominali sono considerate equivalenti emicranici.

Il Maestro, a tal proposito, è affetto da dolori addominali e crisi gastrointestinali di cui parla in “Memorie” come coliche saturnine,  in riferimento alla teoria rinascimentale secondo cui il genio nasce sotto il segno di Saturno, è malinconico e soffre di disturbi epatici. Questi disturbi intestinali lo affliggono in età giovanile, soprattutto nel biennio 1910-1912. Lo stesso de Chirico ricorda quanto possano essere disturbanti tali manifestazioni, al punto che un suo viaggio giovanile verso Parigi deve essere frammentato in più tappe, che si rendono necessarie per la gravità dei sintomi.

Il maestro non è a conoscenza della propria malattia che sostanzialmente si caratterizza per i seguenti sintomi: dolori intestinali, chinetosi, vomito, cefaleasintomi auratici visivi, “deja vu” e “jamais vu”.  Per lui i più disturbanti sono i dolori addominali; la cefalea  è presente, anche se non necessariamente collegata alle aure visive, che risultano essere di gran lunga più frequenti. In “Villeggiatura”, un breve testo dedicato a Carlo Carrà, de Chirico narra l’esperienza della cefalea, attraverso, forse, un “sogno lucido”:

“Dormo. Porto l’elmo del palombaro. Il pulsare del mio cervello si spacca in tante bollicine sulla piattaforma laccata del mio settimo soffitto”.

Relativamente al complesso sintomatologico prima riferito, i sintomi più significativi in rapporto alle conseguenze prodotte, inconsapevolmente, sulla sua arte, sono le aure visive ed i disturbi di coscienza determinati da “deja vu”, “deja vecu” e “jamais vu”(dal francese, rispettivamente “già visto”, “già vissuto”, “mai visto”, che fanno riferimento ad una alterazione dello stato di coscienza che conduce ad una erronea percezione soggettiva della realtà “come se” l’individuo avesse già visto o già vissuto una situazione per lui nuova o, viceversa, “mai visto” una situazione già nota).

Il maestro, pur non conoscendo il significato clinico di tali fenomeni,  percepisce comunque l’importanza di questi nella genesi della propria arte ed, a suo modo, definisce “rivelazioni” le alterazioni di coscienza e “febbri spirituali” le manifestazioni auratiche .

Relativamente a questi fenomeni auratici, ricordo, più in generale, che pur essendone possibili svariati tipi, a seconda dell’area cerebrale coinvolta, quelle visive sono le più frequenti; esse possono manifestarsi in forma semplice o complessa ; nel primo caso si osservano nel campo visivo chiazze luminose, a forma di fulmini, sfarfallii, zigzag (detti fosfeni) ovvero come buchi di visione oscurata (detti scotomi); nel secondo caso si realizzano delle manifestazioni  allucinatorie complesse, con visione di immagini o scene strutturate. Altro elemento caratteristico è rappresentato dalla tendenza di tali fenomeni alla espansione centripeta; insomma gli “scotomi” tendono ad ingrandirsi, progredendo dalla periferia verso il centro, fino a raggiungere un punto di massima espansione, oltre il quale progressivamente si riducono fino a scomparire. Il margine degli scotomi rappresenta, un “fronte di espansione”, che talvolta si mostra frastagliato, tremolante e scintillante a zigzag (in questo caso si parla di scotoma scintillante), così da assumere l’aspetto di una muraglia o fortificazione, vista dall’alto: tale fenomeno prende il nome di “spettro di fortificazione” (o “teicopsia”, letteralmente: visione di fortificazione). Un' altra distinzione riguarda gli scotomi relativi o assoluti , a seconda se, rispettivamente, impediscano parzialmente o del tutto la visione degli oggetti sottostanti.

De Chirico in preda a tali stupefacenti visioni, che si proiettano sugli oggetti reali come le immagini di una lanterna magica, e di cui non ne conosce l’origine, definisce tali fenomeni “febbri spirituali”.

In Ebdomero ne dà una descrizione: “…Nastri incantevoli, fiamme senza calore, avventate in alto come lingue lunghe, bolle inquietanti, linee tirate con maestria di cui credeva persino il ricordo già perduto da lungo tempo, onde tenerissime, ostinate ed isocrone, salivano e salivano senza fine verso il soffitto della camera. Tutto ciò se ne andava in spirali, in zigzag regolari, oppure dritto e lento o ancora perfettamente perpendicolare. Come le aste di una truppa istruita e disciplinata…”.

E’ probabile che i primi lavori metafisici siano nati da annotazioni visive e schizzi fatti al momento, probabilmente durante un’aura emicranica; la “rivelazione” arriva all’ improvviso ed è una condizione di assoluta passivita poichè il maestro non può sceglierne il tema ma solo subirla; in quel momento egli prende appunti e fa schizzi di ciò che potrà successivamente rielaborare; qualsiasi pezzo di carta può andar bene: una lettera, un invito ad una mostra o programma musicale o, persino, una partecipazione mortuaria.

Comunque il Maestro ignora il nesso tra la sua malattia e  le manifestazioni che si realizzano in modo ricorrente. Come interpretare quanto gli accade? Non essendo uomo di fede, al contrario di  Ildegarda di Bingen, non considera le allucinazioni auratiche in maniera mistica nè un’espressione dello Spirito Santo discendente su di lui. De Chirico  attribuisce ad esse un carattere gioioso, creativo, sorprendente, folle, inusuale ed incontrollabile, ma purtroppo piuttosto raro: “La porta sul mondo della Metafisica non si apre che raramente!”.

L’ignoranza dell’origine dei fenomeni porta il Maestro ad interpretare come poteri ciò che noi, oggi, sappiamo essere dei sintomi e pensare che si tratti di sogni premonitori. In conseguenza di ciò sviluppa l’idea di avere facoltà superiori di chiaroveggente, di custode della porta del Mondo Metafisico, ciò anche in relazione all’influenza su di lui esercitata dall’opera di Nietzsche (anch’egli emicranico), al punto da generare un’autopercezione di Superuomo e Superpittore, definendosi “Pictor optimus”.  (continua)

 

                           (*) Specialista Ambulatoriale Neurologo, Sorrento

 

Bibliografia: Ubaldo Nicola e Klaus Podoll, “L’aura di Giorgio de Chirico”, Ed. Mimesis, 2003

 

 

 

 

 

 

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