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Il ruolo dell’emicrania nella genesi dell’arte di Giorgio de Chirico:

parte seconda

 

 “Nulla sine tragoedia gloria”

 

di Giacomo Visco (*)

 

 

Passiamo ora ad analizzare alcune sue opere alla luce della malattia emicranica e del complesso sintomatologico precedentemente riportato.

 

Il periodo metafisico

L’opera con la quale s’inizia praticamente il periodo metafisico è “Enigma di un pomeriggio d’autunno”, strettamente collegata con le “Rivelazioni” (in particolare il “Jamais vù“ ); il Maestro è reduce da una lunga e fastidiosa  malattia intestinale che lo pone in uno stato di morbosa sensibilità; sta seduto, in un limpido pomeriggio autunnale, su una panca in piazza S.Croce, a lui ben nota, in Firenze; egli riferisce (Manoscritti parigini) che il marmo degli edifici e delle fontane gli sembra “convalescente”;  il caldo sole autunnale illumina, “sans amour”(senza passione), la statua di Dante e la Chiesa. L’artista vive “l’impressione di guardare tutte le cose per la prima volta…”, “il momento è un enigma per me, in quanto esso è inesplicabile. Mi piace anche chiamare enigma l’opera da esso derivata”.

Una rilettura neurologica ci evidenzia :

  • la  lunga e morbosa malattia intestinale e una possibile emicrania addominale
  • il coinvolgimento dello stato di coscienza (con “un etat de sensibilte presque morbide”) può essere una manifestazione emicranica
  • la luce del sole, definita “tiede e sans amour”, può avere un carattere fotofobico
  • il marmo degli edifici e delle fontane gli sembrava “convalescente”, a testimonianza di una ipersensibilità “emicranica”
  • “l’impressione di guardare tutte le cose per la prima volta…” ed il senso di estraneità nei riguardi di luoghi ed oggetti conosciuti rappresenta un “jamais vù”.

 

Altro elemento significativo è costituito dalla dimensione temporale: infatti in diverse opere  (“L'enigma dell'ora”, 1911, “La conquista del filosofo”, 1914) il Maestro inserisce un orologio. L’elemento enigmatico è proprio costituito dalla fissità di questo momento, che è l’antitesi stessa del fluire inesorabile del tempo, poichè non vi è nè passato nè futuro se non per la mediazione del presente, rappresentato da questo “nunc” immobile.

Oltre a questa interpretazione artistico-filosofica, occorre ricordare che l’elemento temporale ha un suo rilievo nel contesto della malattia emicranica. In primis, durante l’aura o la crisi stessa si può registrare una errata percezione dello scorrere del tempo (pazienti emicranici riferiscono sensazioni come se il tempo si fosse fermato o addirittura accelerato, con la difficoltà di percepire la nozione del tempo). D’altronde, l’elemento di immobilità costituito dall’orologio bloccato alla stessa ora costituisce una sorta di omaggio al bisogno di riposo e staticita che l’emicranico sperimenta su di sè, durante la crisi.

 

In precedenza abbiamo indicato che un importante fenomeno emicranico è costituito dai fenomeni visivi chiamati Scotomi, che significano letteralmente ombre. Non a caso de Chirico è molto impressionato da ciò, al punto da affermare Ci sono più enigmi nell’ombra di un uomo che cammina sotto il sole, che in tutte le religioni, passate, presenti e future” (Manoscritti) e da riportare questo elemento in molteplici opere, tra cui ricordo: “L'enigma dell'ora”, 1911 , “La partenza del poeta”, 1914, “La malinconia della partenza” o “La gare de Montparnasse”, 1914, “La torre rossa”, 1913, “Ariadne”, 1913, “Melanconia”, 1912, “Malinconia di una bella giornata”, 1913, “Mistero e malinconia di una strada”, 1914, “La partenza misteriosa”, 1930, “La piazza”, 1914, “Il destino del poeta” 1914.

Questa ricorrenza del tema dell’ombra sembra richiamare il ripetersi di fenomeni di deficit visivo, nella vita del Maestro a seguito delle manifestazioni emicraniche; a tali disturbi ricorrenti si associa un senso di angoscia e di malinconia e molte delle opere del Maestro presentano questa caratteristica, e non solo nella definizione del titolo. La presenza delle ombre, sapientemente disegnate dall’inclinazione del sole su edifici, che limitano la visuale e  sono per lo più squadrati, freddi, austeri, con una serie di arcate in ombra, come occhi senza luce, contribuisce a sottolineare l’atmosfera angosciosa e malinconica. Effetto analogo si realizza quando le ombre nascono da oggetti sconosciuti ed invisibili, come in  “La partenza del poeta”, 1914, e “Mistero e malinconia di una strada”, 1914. Il fenomeno appare ancor più evidente quando le ombre originano da immote statue, quasi monumenti funerari che sottolineano la sospensione del tempo, in una sorta di angosciosa attesa, come in “Melanconia”, 1912 o in “Ariadne”, 1913 o in “Piazza”, 1914.

Un elemento ulteriore che possiamo ricondurre ai disturbi visivi presenti nell’emicrania, oltre agli scotomi, è quello degli occhiali scuri che compare in “La nostalgia del poeta” e “Ritratto di Apollinaire”, del 1914; esso può essere un riferimento al sintomo della fotofobia che quasi sempre accompagna l’emicrania.

In alcune opere ricorre, in secondo piano, la presenza di un treno, talvolta appena visibile sullo sfondo (“La conquista del filosofo”, 1914, “La malinconia della partenza” o “La gare de Montparnasse”, 1914, “La partenza misteriosa”, 1930, “La piazza”, 1914, “L’angosciosa partenza”, 1914); tale elemento potrebbe essere espressione di un fenomeno osservabile nell’Emicrania: l’Autocinesi, che è una illusione percettiva visiva che consiste nell’impressione avuta dal soggetto che oggetti altrimenti stabili e fissi, appaiano in movimento.

 

Gli Interni Metafisici costituiscono un altro gruppo di opere, soprattutto del periodo Neometafisico, di interesse specifico. La predominante regolarità delle forme geometriche che in esse si osservano puo riportare il nostro pensiero alle geometrie degli spettri di fortificazione, la Teicopsia: “Interno metafisico”, 1926, “Interno metafisico con biscotti”1916 e 1968,  “Natura morta evangelica”, 1956, “La rivolta del saggio”, 1916. Similmente, ne “Il mistero di Manhattan”del 1973, la chioma di Apollo e la specie di coperta sulla poltrona ricordano la macchia di uno scotoma in evoluzione, che sembra ripresentarsi  nel luccichio dell’acqua ne “Il ritorno di Ulisse” del 1968; in esso l’eroe greco è rappresentato nell’atto di remare, su una barca, in un mare circoscritto, all’interno di una stanza (si osserva sullo sfondo che la porta della stanza è aperta, a testimoniare la possibilità di accedere al mondo metafisico); nel quadro il luccichio del bordo dell’acqua ricorda chiaramente la chiazza di uno scotoma scintillante, che si allarga con il suo fronte di espansione. Ma l’immagine dello sfavillio dello scotoma scintillante dell’aura è ancor piu evidente in opere quali “Sole sul cavalletto” del 1972 e 1973, “Interno metafisico con sole spento” del 1971 e “Sole e luna sulla spiaggia” del 1930; in esse si nota una caratteristica della dinamica allucinatoria dell’aura quale è il passaggio dalla luminosità all’oscurità ( dai fosfeni agli scotomi); tale transizione è espressa dalla coesistenza del sole e della luna e dai cordoni attraverso i quali avviene il trapasso, come specie di fili di corrente elettrica.

 

Nella serie di opere definite Bagni Misteriosi compare il tema della tenda che ci riconduce alle “Rivelazioni”: è come se quella spessa tenda ( o anche una porta) stesse a celare il mondo metafisico all’umanità ed il compito dell’artista sia quello di svelare tale nascosto. In alcune di queste opere si vede chiaramente un personaggio con cappello (egli  rappresenta il Maestro), nell’atto di aprire la porta che introduce al mondo metafisico. L’elemento più strano ed interessante è costituito dall’aspetto dell’acqua, dal colore marrone e con caratteristiche striature che ricordano un “parquet”. Si può sostenere che l’emicrania abbia avuto parte in questo elemento, dal momento che esso ricorda i zigzag tipici dell’aura.

 

Il periodo Neometafisico

Nel periodo Neometafisico si collocano anche alcune opere con un tema nuovo: in “Battaglia sul ponte” e “Ritorno al castello”, del 1969, si osservano delle figure centrali, nere, con bordi frastagliati ed acuminati, come ritagliate con le forbici ed incollate sulla tela; chiaramente tali figure sono vestigia di scotomi in corso di aura. Analogamente, “Il rimorso di Oreste” del 1969, oltre a mostrare l’immagine-scotoma, nera, accanto alla figura uomo-manichino, evidenzia il tema del“doppio”, con il contrasto tra una testa di manichino, priva di vita, ed un torace “vitale” di espressioni geometriche. Nell’opera, inoltre si può osservare che l’ombra “scotomica” dalla sembianza umana ha dei rapporti sproporzionati e tale elemento può essere riferito al fenomeno, che si realizza, talvolta, nei soggetti emicranici, che viene definito la “Sindrome di Alice nel paese delle meraviglie”. Questa è caratterizzata da una distorsione allucinatoria della normale percezione somestesica del proprio corpo, per cui il soggetto percepisce alterato il corpo nel peso, nella statura, nella forma. Tale definizione sindromica risale al 1952 quando Caro W. Lippman descrive il fenomeno, notando la grande somiglianza tra le descrizioni che gli vengono offerte dai pazienti e l’opera di Lewis Carroll (al secolo reverendo Charles Lutwidge Dodgson, peraltro anche egli affetto da emicrania).

 

 

L’autoritratto e il tema del doppio

Una parte importante dell’attivita di de Chirico si è incentrata sul tema dell’autoritratto.  L’ opera “Autoritratto pietrificato”, 1925, evidenzia un dinamico, progressivo, processo di statuificazione del suo corpo, che inizia dalla mano destra, mentre il capo conserva un aspetto carneo, per estendersi a tutto il corpo. Ciò illustra in modo suggestivo alcuni caratteristici fenomeni parestesici centripeti tipici dell’aura, ovviamente causa di angoscia e sconforto in chi non conosce il fenomeno, mentre la serafica espressione dell’artista dimostra  che egli, ormai, ne è perfettamente consapevole.

La coesistenza di parti di natura diversa, carnee e marmoree, presente nell’opera suddetta, introduce un elemento di fondamentale importanza: il “Doppio”. Questo si ritrova in opere quali I due manichini”,1920, “I due manichini e la torre rosa”, “Le maschere”,1973, “Le due sorelle”,1925, “Archeologi”,1927, “Archeologi IV”,1931, e soprattutto in  “Autoritratto”, 1922 , “Autoritratto con ombra”, 1920, e “Autoritratto con busto di Euripide”.

Esaminando in dettaglio “Autoritratto”, 1922 , “Autoritratto con ombra”, 1920, si apprezza la presenza di un doppio sè stesso, fenomeno definibile  con il nome di “Autoscopia” o allucinazione autoscopica del proprio doppio, condizione questa descritta tra le manifestazioni auratiche. In queste due opere, il doppio appare come un fantasma, che sta lontano dal corpo, come un alter ego; nella prima, di queste, si osservano le due immagini una in carne ed ossa e l’altra  formata da un busto di pietra, l’una di fronte all’altra; nella seconda opera la figura reale sorregge e sembra indicare un libro o una stele di pietra, essendo rivolta verso l’osservatore; l’immagine doppia è messa di spalle, quasi appoggiata all’altra e guarda nell’opposta direzione. Questo secondo caso sembrerebbe evidenziare un esempio di esperienza extracorporea di derealizzazione con la percezione somestesica di un corpo parasomatico, fuori del sè fisico; infatti l’alter ego appare differente in grandezza e postura, con lo sguardo e la mano sinistra differentemente orientata rispetto all’immagine reale (al contrario di quanto accade nel doppio autoscopico).

Nell’ “Autoritratto con busto di Euripide” si osserva la giustapposizione della figura vivente dell’artista con il busto di pietra del filosofo greco.

Il significato presumibile di queste figure doppie può essere interpretato come la metafora del contrasto vissuto nell’animo dal Maestro. Il doppio rappresenta l’antitesi e nel contempo l’unione tra la vita quotidiana e la vita “pietrificata” nella malattia emicranica; tra la vita reale e la malattia mentale.

Da una parte c’è la freddezza e la durezza del vivere quotidiano e delle miserie della malattia e dall’altra la vivacità e la creatività dell’arte e della conoscenza, che, per esempio, l’artista simboleggia, rispettivamente, con la testa lignea e l’addome pieno di monumenti ed arte, nell’ opera “Archeologi”, 1927. Il “doppio” rappresenta il contrasto tra la colorata vita quotidiana e quella grigia ed immota dell’ombra, del fantasma, della malattia. E  anche l’antitesi nella vita quotidiana, che è da un lato colorata e creativa e dall’altro  condizionata dalla debolezza e dalla malattia (così come il ventre degli Archeologi è depositario della bellezza dell’arte e della sofferenza dell’emicrania addominale).  D’altro canto la pietra dei busti dell’autoritratto e di Euripide rappresenta il contrasto tra la freddezza della malattia e la perfezione dell’arte, quasi che ognuna di queste espressioni, la vita e la pietra fredda, avessero in sè due opposti estremi.

La sintesi di tutto ciò è nel contrasto tra la vita e la malattia (ed in questa tra la malattia fisica e quella mentale) e tra la gloria dell’arte e la tragedia della sofferenza, che sebbene contrapposte sono, per tutto ciò, legate indissolubilmente, al punto da non esistere l’una senza l’altra: “Nulla sine tragoedia gloria” (massima latina che compare sulla stele sorretta con una mano dall’artista nell’  “Autoritratto con busto di Euripide”).

Ancora,  le “Rivelazioni” sono l’espressione della creativa genialità e del fatto il Maestro è  uno dei pochi eletti ad accedere al mondo metafisico; del resto esse sono anche una espressione di diversità potenzialmente negativa, la follia. Ricordo, a tal proposito, che a lungo è circolata voce che, durante la guerra, egli sia stato esentato dal combattere al fronte, perchè i suoi quadri sono considerati l’opera di un matto; inoltre, nella sua mente, sicuramente, ha avuto un ruolo la consapevolezza dell’esistenza del germe della follia nella sua famiglia. Anche a causa di ciò, probabilmente, il Maestro, è stato ossessionato da una eterna duplicità. Duplicità è temere di avere una malattia fisica ed una tara mentale; duplicità è avere una doppia esistenza: quella della vita di tutti i giorni è quella scandita dalla successione delle crisi dolorose addominali e cefalea. Analogamente, duplicità è costituita dalla compresenza della paura della follia e dall’orgoglio di essere una persona speciale per aver accesso al mondo metafisico.

 

Un Tiresia redivivo

Egli forse considera sè stesso una sorta di novello oracolo e forse ciò è confermato da opere quali “Il veggente”, 1914, “La ricompensa dell’indovino”, 1913, “L’enigma dell’oracolo”,1913.

De Chirico, insomma, quale novello Tiresia. L’indovino della tradizione mitologica ellenica, una sorta di transessuale “ante litteram” per divina maledizione, e egli stesso simbolo di duplicità per il fatto di aver vissuto sia l’essere maschile che quello femminile, essendo stato tramutato in donna dagli dei, per aver ucciso un serpente femmina che copulava con un maschio; dopo sette anni, nella stessa situazione uccide il serpente maschio e torna egli stesso maschio. Successivamente, in una disputa tra Zeus ed Era, egli svela il segreto del piacere erotico della donna (che ha piacere nove volte superiore all’uomo) e per punizione Era lo priva della vista; ma, sempre per volontà di Zeus, egli ha il dono di vivere per sette generazioni e di predire il futuro.

De Chirico,  dal canto suo, rappresenta un Tiresia redivivo; così come l’oracolo greco ha avuto due maledizioni (quella della doppia vita sessuale e quella della cecità), analogamente il Maestro è costretto a subire  due sofferenze (dunque in entrambi si osserva una simile duplicità): la sofferenza fisica (la malattia emicranica) e quella mentale (la follia nella sua famiglia e quella che una parte del pubblico attribuisce ai suoi quadri);  nel contempo, entrambi hanno avuto il dono di essere speciali (guardare il futuro, per Tiresia ed aprire la porta del mondo della metafisica, attraverso le “Rivelazioni”, che alimentano la sua arte, per de Chirico). Per il Nostro gli elementi apparentemente negativi, della malattia fisica (emicrania) e psichica (follia), costituiscono dunque un vantaggio, una opportunità, sono anzi indispensabili, per poter accedere alla esperienza unica del mondo della creatività metafisica. Dunque “nulla sine tragoedia gloria”; egli è cosciente della sua meravigliosa duplicità, con la grandezza dell’artista e la caducità della umana miseria e della malattia, che sono imprescindibilmente ed indissolubilmente legate, senza che l’una possa esistere senza l’altra. 

Cosa questa  che è meravigliosamente possibile ed analoga per ognuno di noi esseri umani,  occorre solo rendersene conto ed…accettarlo.

 

(*) Specialista Ambulatoriale Neurologo ASL Sorrento, Psicoterapeuta

 

Bibliografia: Ubaldo Nicola e Klaus Podoll, “L’aura di Giorgio de Chirico”, Ed. Mimesis,2003.

 

 

 

 

 

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