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        I simboli, gli enigmi: una chiave di lettura sul complesso universo del Natale

Il Natale svelato

di Franco Salerno (*)

Il Mistero della Vita

Confessiamolo: di fronte al Natale siamo presi da un groviglio di pensamenti e ripensamenti, di abbandoni e tensioni, di speranze future e ancestrali richiami. A Natale succedono troppe cose importanti per persone diverse. C'è il credente che vi vede una data testimoniale significativa e c'è il consumista, che porta al parossismo il suo "vizio assurdo" quotidiano. C'è chi prepara all'esterno le città e le chiese per abbellirle.
Tutti i popoli antichi (dagli Atzechi agli Indonesiani) sono stati attratti dal fascino inspiegabile e, per certi versi, perturbante del Mistero della Nascita dell'Uomo e del Mondo, sì da giungere  a credere che un coltello magico avesse separato il Cielo dalla Terra per dar loro origine. Identico sentimento di religioso silenzio trasuda dalla famosa frase biblica che interpreta come un "trauma" la nascita del Mondo: "E Dio separò la Luce dalle Tenebre". Ed ancora, se veniamo alle culture più a noi vicine nel tempo e nello spazio e scendiamo giù giù nel "profondo Sud", ad esempio in Basilicata, scopriamo complessi rapporti di presenza/assenza all'interno della concezione del Natale/ Nascita. C'è infatti un canto popolare che la dice lunga sulla nascita come separazione e alienazione. Testualmente tradotto recita così: "Quando io nacqui, mamma non c'era:/ era andata a lavare le fasce./ La culla che mi doveva dondolare/ era di ferro e non dondolava/ e il prete che mi doveva battezzare/ sapeva leggere e non sapeva scrivere." In questi versi struggenti è condensata tutta l'angoscia della Nascita, frutto di una separazione forzata dalla madre.  E' in essi tutta la tragica Sapienza del Mondo, quella stessa che ispirò a Giacomo Leopardi  la sua celebre epigrafe sul trauma della Nascita: "E' funesto a chi nasce  il dì natale". Ma, proprio per positivizzare questi tre elementi negativi (Separazione, Tenebre e Morte) il ciclo calendariale, ispirato alla cultura cristiana, si conclude con una Meta suprema e risolutiva: il Natale. 

 
Simboli ed enigmi del Natale

Una delle chiavi possibili di lettura del complesso universo del Natale è quella che attraversa quattro Grandi Enigmi, che si presentano sotto coppie simboliche: il Sole e la Luna, il Divino e il Bestiale, la Vita e la Morte, l'Oscurità del Profano e la Conoscenza sapienziale. Il Sole, infatti, già esaltato nel culto pagano di Mitra, acquista nuova pregnanza sacra nella tradizione evangelica: Cristo è il Sol oriens o Sole Nascente. E’ possibile vedere incarnato  l'elemento  del  "tramonto" del Sole  -che, tra l'altro, va di pari passo con  il "finir" dell'anno-  nel personaggio di Giuseppe, che diventa dunque il  Sole vecchio che muore, rispetto a Gesù Bambino, il quale sarebbe appunto il  Sole giovane che nasce. E la stessa coppia Asino/Bue contiene  un rimando al Sole (in quanto il primo è un animale solare) in dialettica con la Luna (poichè le corna del Bue richiamano le due falci dell'astro lunare). In tal senso, il Sole e la Luna sono due aspetti complementari, nell'indicare le due nature del Figlio di Dio che viene a nascere sulla Terra: il Sole, sempre uguale a se stesso e privo di divenire, indica l'immutabilità sovrana della Divinità; la Luna, astro che cresce e sparisce, soggetta al divenire, esprime la legge umana della Vita e della Morte. La coppia dialettica Divino-Bestiale emerge nell'ambito della concezione della notte di Natale come momento di prodigi e di enigmi. Il folklore dell'Italia Meridionale è ricco di indicazioni in questo senso: a mezzanotte infatti in Calabria viene riempita la greppia per gli animali, affinchè non critichino i loro padroni, quando nella Notte Santa anch'essi possono parlare. Il Natale, dunque, oltre che un'attesa dell'Evento della Nascita, racchiude in sè anche un contatto con il Regno della Morte o, meglio, un vedere la   Morte per conoscerla e superarla. Naturalmente si tratta di una Morte metaforica ed iniziatica, nel senso che si muore rispetto a ciò che si era prima e  si  rinasce rinnovati. Questo processo di iniziazione e di conquista della Conoscenza attraverso l'accesso al Mistero è perfettamente incarnato dal simbolismo della grotta, elemento che domina sovrano in alcuni famosi presepi italiani. Basti citare il singolare  Presepe  della  Zolfatara, allestito a Predappio nei cunicoli di 10 grotte sotterranee di un'antica miniera di zolfo. La grotta, gigantesco ricettacolo di energia tellurica e ctonica, spesso eletta a omphalos tes ghes o Ombelico (Centro) del Mondo, e, nella storia delle religioni, il luogo per eccellenza della nascita e dell'iniziazione del Profano, a cui conducono le  prove del Labirinto, il superamento delle quali consente l'accesso al sacro recinto  del presepe. E il Labirinto si evidenzia, in tutta la sua enigmatica essenza, nel presepe che si allestisce a Napoli, dove il senso di una vorticosa spirale avvolge l'occhio di chi contempla. Eppure, in esso, come ha notato Italo Sarcone, c'è uno strano personaggio "con gli occhi chiusi": Benino, il pastore dormiente. Il suo sonno lo prepara al Viaggio verso la Conoscenza: l'Uomo nuovo nasce con il risveglio, sotto l'effetto della luce delle Stelle, simbolo dell'Onniscienza divina. Quelle stesse stelle che risplendono  in maniera straordinaria nell'inno natalizio di S. Alfonso de' Liguori: "Quanno nascette ninno a Bettalemme/ era notte e pareva miezojuorno./ Mai le stelle, lustre e belle/  se vedetteno accusì". E così il pastore in cui si incarna il prototipo dell'Uomo  -ripercorrendo l'iter di Cristo, nato e poi sepolto in una grotta da cui risorge - puo affrontare la fatica dell'esistere su questa tragica e splendida crosta di Mondo.                

                                (*) Antropologo

 

   

 

 

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