Il dolore nell’iconografia del paziente  cefalalgico. 
         Alcune tra le opere dipinte sia da pazienti che soffrono di grave cefalea,  
         sia da artisti non cefalalgici che graficamente la interpretano
         

           
    
Vissi d’arte… e  di dolore
  
    
La storia è ricca di personaggi che hanno scelto la  strada della creatività artistica per  “elaborare”   il proprio dolore, rappresentando  visivamente una sofferenza altrimenti incomunicabile. Basti, tra tutti, citare  l’esempio della pittrice messicana Frida Kahlo  (1907-1954) che sublima nella sua arte surrealista le sofferenze di una intera esistenza votata al  dolore: una malattia, quale la spina bifida, che l’accompagnerà sin dalla  nascita, la poliomielite contratta all’età di 6 anni  e - come se ciò non bastasse -  un grave incidente  automobilistico di cui rimane vittima a 18 anni, che la costringerà ad una  immobilità forzata e a subire ben 32 interventi chirurgici, compresa l’amputazione di una gamba (fig. 1). 
      
    

      
        Fig 1, Foto della pittrice Frida Kalho
      Attraverso la creazione artistica è possibile “rappresentare”  l'aspetto puramente fisico della sofferenza (fig. 2) o anche quello più  squisitamente psichico (fig. 3), legato al vissuto emotivo di chi deve  convivere con un dolore devastante, talora  cronico, quale quello dei soggetti affetti da cefalea a grappolo.
      
    

.........................Fig 2, Cluster Headache di Kuorosh ..............................Fig. 3, Sad diStefan
L’arte si pone in tal modo come  autentica “scienza dello spirito” che consente di “riprodurre” il proprio  vissuto (erlebnis) sì da “riviverlo”  in una dimensione nuova: di “simpatia”, citando il grande pensatore tedesco Wilhelm Dilthey; vale a dire riconciliandosi col  proprio destino, mettendo altresì in atto un processo di “ricostruzione” del  Sè, che ricompone i suoi cocci e rinasce a miglior vita, dischiudendosi magicamente  ad un nuovo rapporto col mondo. In quanto mediatrice tra vissuto e pensiero  verbale, l’arte, alfine, si pone come ottimale strumento dialogico che fornisce  oltremodo strumenti semplificati per accedere alla comprensione di un universo  altrimenti inesplorabile.
      
      Le  opere in mostra sono composte sia da pazienti affetti da cefalea a grappolo sia  da artisti che, non colpiti da tale patologia, a modo proprio la  “interpretano”. Superfluo il volerle singolarmente discernere: i linguaggi si  sovrappongono, fino a fondersi in un unicum che rende indistinguibile l’artista dal malato. Ogni opera d’arte, nel  superamento del proprio valore estetico, assurge a funzione di simbolo dell’umano soffrire.
      Tutti gli Autori,  indistintamente, scelgono come strumento comunicativo preferenziale la strada di  un figurativismo per molti versi “fantastico”, a voler rendere intenzionalmente  leggibile e tangibile il dolore dell’anima. Innanzi ai nostri occhi scorrono le  immagini di un mondo onirico, sospeso, remoto ma nel contempo vivo, popolato da  figure grottesche ed irreali che intervengono brutalmente a trasformare la  propria esistenza in un mostruoso incubo :   tutte fiction perfettamente  credibili, giammai volgari (figg. 4 e 5).
   
      

............................Fig 4, A bad day for a picnic di Russel..... Fig. 5, The torture diNaho Islem
  
      Talora le scene sono nude e  crude, vuote, ridotte nella loro essenzialità a grevi sepolcri, avvolti  in un’aura plumbea come la materia pittorica  che, claustrofobicamente, le costruisce  (fig. 6).
      
    

Fig. 6, Headaches by Brady
In questo scenario opaco, le figure perdono in plasticità, fino a decomporsi: in Sfortuna (fig. 7), il volto si trasfigura in una maschera informe, le mani ridotte a brandelli, scolpite da una luce algida che incide cruda come il destino; dal buio più profondo un grido disperato squarcia il silenzio e, vivo come il sangue, raggiunge l’attonito spettatore.

      
        Fig. 7, Sfortuna by Anonimous
      Talaltra i fantasmi della mente  si ricompongono per esprimere inquietudine, impenetrabilità, impotenza attraverso  la fisicità di un corpo ridotto alla stregua di un sacco pendente (fig.8), di un manichino impalato (fig. 9)
 
.............................Fig 8, Too tired to live by Katie..............................Fig. 9, Stuck by Brian
  o di un povero cristo  inchiodato in croce (fig. 10). 
    
    

      
Fig. 10, Sins by Brian
      
    
Tanti diversi modi per dire che le ferite dell’anima sono come quelle del corpo, per sperimentare non solo i benefìci terapeutici dell’arte ma soprattutto per fornire una lezione di vita ad una umanità in ascolto: giammai dalle opere si raccolgono vissuti di rassegnazione, passività, autocompiacimento; semmai l’ardua consapevolezza che dalla sofferenza la creatività trae la forza per non spegnersi, per non arrendersi.
...........................................................................................................Mimmo Cassano