La vita, le vicende di Gustave Courbet, autore delle celebri Marine

Libero, come la brezza del mare
    
Jean Désiré Gustave Courbet  nasce da una prospera famiglia di agricoltori, in Francia a Ornans il 10 giugno  1819, una cittadina presso le montagne del Giura, vicino la Svizzera. Già nei  primi periodi della sua fanciullezza il suo estro geniale viene fuori con una  personalità irrequieta e vivace che lo rendono uno scolaro piuttosto difficile  da gestire. A riuscirci sarà uno dei suoi insegnanti che lo inizierà all’arte  del disegno vero. Nel 1837 assecondando mal volentieri le pressioni della  famiglia, si iscrive alla facoltà di legge presso il Collège Royal di Besançon,  continuando però ad alimentare il fuoco della sua arte seguendo delle lezioni  del pittore Flajoulot presso l’accademia locale. Ben presto però il suo senso  di inadeguatezza nei confronti dell’ambiente universitario, dopo soli due anni,  nel 1839, lo porta ad abbandonare gli studi per trasferirsi a Parigi, dove  trova lavoro presso lo studio di Steuben e Hesse. Anche questo luogo diviene  però una gabbia per la sua creatività, e decide di liberarsi da qualsiasi tipo  di costrizione alla sua arte e comincia un lungo percorso di formazione da  autodidatta studiando i quadri di autori spagnoli, francesi e fiamminghi,  eseguendo copie nei musei cittadini. 
      
      Tentando di farsi conoscere dal pubblico  parigino, partecipa al “salon” un'esposizione  periodica di pittura e scultura, che  si svolse 
al Louvre di Parigi, con  cadenza biennale fino al 1863 ed annuale in seguito (decreto imperiale del 13  novembre 1863), dal XVII al XIX secolo.  Purtroppo l’ostruzionismo retrogrado della commissione giudicante gli permette  l’esposizione di pochi dipinti, sebbene due di questi vengano acquistati da un  commerciante. Intanto nel 1848 dopo l’abdicazione del re Luigi Filippo con  l’instaurarsi della repubblica viene ricostituito il consiglio di valutazione  del salon, che stavolta consente l’esposizione di ben dieci dipinti che  riscuotono un ragguardevole successo. L’anno successivo nonostante un nuovo  cambio del consiglio di valutazione, vengono accettate altre sette sue opere,  compreso  “dopo pranzo ad Ornans” che  vince una medaglia d’oro ed è acquistato dal governo per il museo di Lille.  Tale onorificenza gli garantisce inoltre la possibilità di poter esporre i suoi  quadri senza che questi debbano passare attraverso la valutazione del  consiglio. 
Espone così uno dei suoi quadri più celebri “sepoltura ad Ornans”, il quale riceve purtroppo amare critiche e diviene addirittura oggetto di scherno e ludibrio da parte dei vignettisti parigini. Nonostante l’accoglienza di questo dipinto non sia delle migliori, esso è quello che potrebbe essere definito il manifesto del realismo, rappresentando la perfetta adesione del pittore alla descrizione della vita delle classi più povere, tema assai caro a questo movimento.

Proprio perché Courbet ritiene che il realismo non abbia  a che fare con la perfezione del tratto e delle forme, ma che debba ritrarre la  durezza della vita. L’esposizione di quest’opera risulta essere un guanto di  sfida nei confronti del concetto di arte accademico tipico della sua epoca,  attirando su di sé la critica di aver deliberatamente adottato una sorta di  "culto della bruttezza". Con l’avvento del secondo impero, nel  1855 viene invitato a realizzare un dipinto per l'Exposition Universelle di  Parigi, previa presentazione di uno schizzo mirato a dare il consenso a  realizzare l’opera. Courbet ritenendo compromessa la sua libertà di artista,  rifiutò indignato e organizzò una sua mostra personale intitolata  "Realismo", proprio vicino al padiglione dove si teneva l'Exposition  Universelle. La mostra è purtroppo un insuccesso, che spinge perciò il pittore  a cercare nuovi luoghi in cui le sue opere siano più apprezzate. Negli anni fra  il 1956 e il 1959 si trova in Belgio e in Germania, dove gli viene resa la  gloria meritata, e vive un periodo molto fecondo artisticamente esponendo a  Londra,  Anversa, Bruxelles, Amsterdam e a L'Aia. 
      
      
Riesce ad ottenere nei successivi  dieci anni una lunga serie di lodi, accompagnate inevitabilmente da un certo  numero di critiche. In particolare la sua opera “ ritorno alla conferenza”  suscita grande scandalo per la rappresentazione di un gruppo di clericali  ubriachi. Nel 1870 l’impero viene soppiantato da un governo repubblicano che  avrà vita brevissima : la comune. Durante questo periodo Courbet , sempre  schieratosi a favore della difesa della libertà, ricopre anche un ruolo da  consigliere che purtroppo gli costerà caro quando nel 1871 , la comune viene  repressa nel sangue. Essendo giudicato traditore della patria, poiché aveva  fatto parte del gruppo di ribelli, viene obbligato a pagare una multa di 500  franchi, e condannato a sei mesi di prigione. 
      La vera pena viene però  pronunciata più tardi, quando viene incriminato per la distruzione della colonna  Vendôme, considerata dalla Comune "un monumento di barbarie, un simbolo di  forza bruta e di falsa gloria, una affermazione di militarismo, una negazione  del diritto internazionale, un insulto permanente dei vincitori ai vinti, un  attentato continuo ad uno dei tre grandi principi della Repubblica: la  fratellanza!". 
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er evitare la condanna, che prevedeva il pagamento da  parte del pittore delle spese di ricostruzione, egli fugge in Svizzera a La  Tour-de-Peitz. Nonostante la fuga, gli viene comminata una sanzione di 323.000  franchi e molte sue opere vengono confiscate. Ormai solo e povero, alla fine  dello stesso anno, il 31 dicembre muore, lasciando al mondo un’eredità  fatta di opere nuove e rivoluzionarie, che indagano  e interpretano il mondo contadino e borghese, il nudo femminile e la natura, e  che incarnano ideali morali di libertà e giustizia. Celebri rimarranno le sue  parole : “Ho cinquant'anni ed ho sempre vissuto libero; lasciatemi finire  libero la mia vita; quando sarò morto voglio che questo si dica di me: Non ha  fatto parte di alcuna scuola, di alcuna chiesa, di alcuna istituzione, di  alcuna accademia e men che meno di alcun sistema: l'unica cosa a cui è  appartenuto è stata la libertà". 
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