La breve vita di Leonardo  Vinci, 
	       tra i massimi esponenti del 
         settecento musicale napoletano

      
      La  melodia, prima di tutto
      
Le vicende biografiche
      Leonardo Vinci, di origine calabrese (Strongoli, 1690), morto a Napoli all’età di soli 40 anni (27 maggio 1730), è stato uno dei massimi esponenti della scuola operistica napoletana.
      Studiò con Gaetano Greco presso il Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo, dove era entrato all’età di 18 anni. 
      
      Nel 1729 fu nominato maestro di cappella presso Paolo di Sangro, principe di Sansevero, ed ebbe modo di dar lezioni al nipote di costui, Raimondo. Compose sia opere in dialetto napoletano  (Lo cecato fauzo,  Le ddoje  lettere, Li zite ‘n galera,  La  mogliera fedel) segnando  l’affermazione nel panorama napoletanodell’opera buffa; sia  opere serie, quali Publio Cornelio  Scipione, il Farnace, su libretto  di Antonio Maria Lucchini rappresentata con straordinario successo, in cui  cantarono Domenico Gizzi, virtuoso della Real Cappella di Napoli e Carlo Broschi,  detto Farinelli;  l’Ifigenia in  Tauride; la Didone abbandonata. su libretto di Metastasio,  interpretata dai castrati Domenico Gizzi, Farfallino e Antonio Barbieri.  Nel 1728, dopo la morte di Gaetano Greco, ottenne il posto di  maestro di cappella presso il Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo ove ebbe, tra i suoi  allievi, Pergolesi.
      Fu uno dei  maggiori rappresentanti del teatro operistico del suo tempo, colui che autorevoli critici  hanno definito “la risposta italiana ad Handel”.  Di lui Pietro Metastasio dirà: “L' unico ad aver  capito il senso intimo dei miei versi»; di fatto, Leonardo Leo nella sua breve  vita proprio sui versi del poeta e librettista romano concepì capolavori come Didone abbandonata e Artaserse.
L’ultima sua  opera
      Artaserse costituì la sua ultima opera, rappresentata  nel 1730 a Roma, alla quale partecipò Gizzielli, altro  famoso castrato napoletano. Nello stesso anno Vinci morì in circostanze non  chiare. Qualcuno sostiene che  fosse un  amante del bel vivere; secondo altri, sarebbe deceduto a seguito di un avvelenamento. Fu sepolto  a Napoli, nella chiesa di Santa Caterina a Formiello,   grazie  all’interessamento della sorella del cardinal Ruffo che provvide a sostenere le spese del  funerale, dato che il musicista era morto povero.
      La produzione di Leonardo Vinci comprende, oltre  ad opere buffe e serie,  anche oratori, musica sacra, pasticci e composizioni strumentali.
La melodia,  prima di tutto
      Tra le caratteristiche della musica di Leonardo Vinci va  evidenziata la spiccata melodiosità - tratto tipico della scuola napoletana – così come anche la messa in  risalto della vocalità, resa possibile dalla riduzione del contrappunto  all’essenziale  e dall’assenza di “obblighi strumentali che possano far concorrenza  alla voce” (Robinson). 
      Florimo, musicologo di origine calabrese,  considerava Vinci “il padre del  teatro  musicale, avendo egli fatto melodia sugli accordi degli strumenti e  perfezionato il recitativo obbligato”. Burney, compositore inglese, nei suoi  appunti di viaggio, scrisse che Leonardo aveva provocato una “considerable  revolution” nel dramma musicale soprattutto grazie alla chiarezza con la quale  le parole spiccavano sulle note dell’orchestra. In questo senso Vinci è stato  sempre considerato il più “metastasiano” dei compositori e il suo stile  musicale è una sorta di spartiacque tra il periodo dominato da Alessandro  Scarlatti e quel nuovo linguaggio che il critico musicale Carli Ballola   ha definito “pregalante e pergolesiano”. Per quanto riguarda la vocalità,  infine, Vinci fu, come ha sottolineato Rodolfo Celletti nella sua “Storia del  canto”, il sommo divulgatore dello stile cosiddetto “agitato” che segna, tra il  1730 e il 1740, uno dei vertici dell’espressività del tempo “con il suo  fraseggio sincopato che alcuni studiosi amano definire sensitivo e con la sua scrittura spiccatamente virtuosistica”.  Caratteristiche queste che già si notavano nelle sue opere in dialetto  napoletano nelle quali, con abili sfumature, egli riuscì, come ha scritto  Giovanna Ferrara, a nobilitare il gusto della musica popolare “con quella straordinaria  e facilissima vena creativa che è uno dei suoi maggiori pregi”.