Dalla Mesopotamia alla Campania: le origini, le storie, i  popoli del mediterraneo, 
tutti  racchiusi nel nettare di Bacco

Un bicchiere di vino, un sorso di storia
         
Fin dall’epoca della Magna Grecia,  la Campania  è stata sempre una terra ricca di buon vini: storicamente ha svolto un ruolo  fondamentale nell’evoluzione della viticoltura e dell’enologia nel mondo. 
           Il Vino è un prodotto complesso e  semplice insieme, importante e alla portata di tutti; esso, raccontando la  storia della gente e del mondo in cui vive, è parte essenziale nel recupero  delle tradizioni culturali più preziose.
Aspetti storico-linguistici

           L’etimologia della parola vino ci  fa capire quanto è profondo il tempo dell’inizio della vinificazione. Per  l’area linguistica semitica il termine nasce dalla base: ain; in accadico: inu; in  ugaritico: jn; in babilonese: inu; in neobabilonese: (w) inu; in cananeo: jain; in ebraico: jajin; in  armeno: gin; in arabo: wain.
           In area linguistica occidentale,  il lemma deriva da una radice  indoeuropea weg: avvolgere, legare,  riferita alle caratteristiche dei viticci e dei tralci di avvinghiarsi ai pali.
           Il nome Bacco invece deriva dal  lat. Baca: bacca o uva, iberico  bacca: vino. Il nome del compagno di Bacco, Sileno, viene dal tracio Єιλαι:  vino.
         Storia della vite
Dalla storia delle parole si può  dedurre il percorso che ha fatto la vite ed il vino. Infatti, se la civiltà dei  Sumeri è precedente a quella degli Hittiti e le città Accad e Ugarit hanno nel  loro lessico la parola vino, vuol dire che da quella regione è partita la prima  coltivazione o la notizia della lavorazione dell’uva. 
           Una seconda informazione ce la  fornisce la rappresentazione della pigiatura dell’uva di una tomba egizia di  Tebe.
           Dalla mezza luna fertile (Mesopotamia,  Siria, Fenicia, Cananea, Egitto) la produzione del vino fu conosciuta in Grecia  attraverso le colonie dell’Asia Minore. I greci gli trovarono un illustre  protettore, Dioniso.
           La leggenda sacra,  raccolta a Somma, narra che San Gennaro, con  i santi Mauro e Aniello, era prigioniero dei Turchi, liberò i compagni, prese  una vite, avvolse un’isola dell’Asia Minore, la trascinò in Campania e la mise  davanti al Vesuvio, a conferma dell’origine orientale delle piantagioni di  viti.
           
I Greci la trovarono coltivata in  Italia già nel VI a.C. dagli Enotri e chiamarono l’Italia Enotria. 
           Sugli effetti della bevanda  Euripide scrive:….. in dono al misero  offre, non meno che al beato, il gaudio del vino ove ogni dolore annègasi.
           
I Sumeri, gli Egiziani, i Fenici,  i Greci lo offrivano agli dèi. È Dioniso, poi, che lo porta all’Olimpo.
           Gli Etruschi ed i Romani  continuarono i culti a Dioniso cambiandone il nome prima in Libero e poi in  Bacco. Le feste orgiastiche al dio, i baccanali,  furono abolite nel 186 a.C.,  ma furono sostituite con i Liberalia, feste  vini-viticole del 17 marzo, e con i Vinalia il 19 agosto.
           Il valore liturgico del vino  della messa “bevete, questo è il mio  sangue” ricorda il sangue del diaspargmos,  il dilaniamento di Dioniso ad opera delle baccanti. I pagani accusavano i primi  cristiani di mangiare il loro Dio e Gesù ha ampiamente utilizzato il paragone  della vigna e del vino nel suo messaggio salvifico.
           Con la caduta dell’impero romano  la viticoltura entrò in crisi; infatti, fu necessario recintare i vigneti per  evitare distruzioni da incursioni barbariche o dagli animali. In questo brutto  periodo, però, i Carolingi incentivarono la coltura della vite come anche i  conventi nei loro estesi poderi in quanto la regola benedettina ne consentiva  l’uso. Da qui il vino era apprezzato dai clerici  vagantes, dagli studenti delle poche università che lo decantavano nei loro  versi goliardici deprecando l’uso dell’acqua. Anche Dante nel XXV canto del  Purgatorio scrive che il vino è il calore del sole che si fa uva, unito  all’umore della terra che cala alla vite. Come le due essenze, calore e umore, non  si possono più distinguere nel vino, così nell’uomo non si distinguono l’anima  sensitiva da quella spirituale.
I documenti napoletani sui vigneti dal 1268
Dalle notizie storiche si evince  che la presenza a Napoli dei vitigni risale al 1268 con gli Angioini e con  Pietro Causamala. Nel 1279 il re Carlo I d’Angiò si riforniva a Napoli del vino  per la casa reale. 
           Da una specie di guida ai vini di  Papa Paolo III ( 1534-1559), redatta da Sante Lancerio si apprende che il  Pontefice non disdegnava il buon vino. In 25 anni Lancerio ebbe modo di fare da  cavia e di apprezzare numerosi vini che rallegravano la tavola del Pontefice. 
           I vini del Papa Farnese, che  visse fino all’età di 82 anni sono giunti a noi grazie al suo bottigliere Sante  Lancerio. Costui seguiva il Papa in tutti i suoi viaggi selezionando i vini da  servire in tavola dopo averne accertata la qualità; inoltre si preoccupava di  controllare tutte le bottiglie che i nobili e potenti donavano al Pontefice. I  giudizi di Sante Lancerio sono netti ponendo agli estremi della personale scala  di valutazione i vini per signori e  quelli per famigli. Tra questi risultano  il greco di Somma e il Lagrima. Il greco di Somma è fatto con l’uva aminea gemella o, come ritengono i  contadini sommesi, con l’uva cacazzella o cacazzara che è simile al greco di  Tufo.
           Il vino nominato lagrima,  attestato a Somma nel 1586, poi diviene Lacrima  Christi. Il termine nascerebbe dal metodo di produzione che consiste nel  far lacrimare i cappucci per ottenere il lambiccato. 
           
         
Il vino nella farmacopea antica e popolare
L’etimologia ancora una volta  apre uno spiraglio di maggiore comprensione degli effetti opposti del vino. Vinum e venenum, infatti, sembra che  nascano dalla stessa base. E il vino può diventare veleno come dimostrano i  miti di Dioniso che è venerato sotto il nome di Lieo, il consolatore, ma anche  di Zagreo, il lacerato.
           Dioniso ha anche un che di  effeminato, così il suo discepolo Sileno; è tondiccio e molle, come se  alludesse all’effetto antierotico di una grande ubriacatura. 
           Anche se gli scienziati  proclamano l’estraneità del vino dalla sfera sessuale, le credenze popolari  diffuse in zona proclamano sicura l’eccitazione sessuale derivante dal vino che  ha anche l’effetto di inibire i freni della razionalità. E se da un lato esso scioglie  la lingua, dall’altro lega il corpo. Un detto paesano dice: “ ‘o primo bicchiere ti fa sentì nu lione,  l’ultimo nu cuglione”. Quindi, se il primo bicchiere ci rende sfrontati,  quelli successivi traballanti e chiacchieroni.
           
           Pascoli afferma che il terzo  bicchiere di vino provoca sonno, ma la scienza non riconosce ad esso nessun  effetto diretto sulla potentia coeundi.
  È riconosciuto alla bevanda  l’effetto di far superare il pudore, la timidezza nei primi approcci  sentimentali come scrive Apuleio ne L’Asino d’oro.
           Ha un effetto consolatore, come  dice Saffo, nei momenti di malinconia esistenziale. Ovidio, invece, intrigante,  ricorda le caratteristiche seduttive del vino: bere dalla stessa coppa  dell’amata, scrivere una parola d’amore col vino sulla tovaglia, intingere il  dito nello spumante e bagnare l’orecchio dell’amata per augurarle buona  fortuna.
           Aiuta la creatività, come  riconoscono Beaudelaire e Paul Klee, ma non la saggezza.
  È interessante ricordare che  l’uso del vino da parte delle donne era mal visto dagli uomini fino a qualche  ventennio fa e che la prima proibizione risale addirittura a Romolo. Per  fortuna, poi, i tempi sono cambiati.
           
           Nella cultura popolare campana ci  sono molte credenze rispetto alla magia della vite e del vino. Con la goccia che  stilla dal tralcio tagliato, per esempio, si curava la congiuntivite come fosse  stato un collirio. Il tralcio secco, messo al fuoco, se fischiava mentre si  bruciava, segnalava pensieri malevoli nei confronti di qualcuno. La torta  d’uva, messa di traverso nella strada a mezzogiorno della vigilia di san  Giovanni, poteva rivelare il futuro matrimoniale delle giovani interroganti  nascoste a seconda di chi ci passava sopra.
           Il vino o i prodotti derivati  sono stati usati come rimedi per diverse affezioni. Un bicchiere di vino nel  quale è stato spento un tizzone ardente, messo al sereno per tutta la notte e  bevuto al mattino, fa buon sangue. 
           
           Fondamentale è il ruolo oggi rivestito a livello  economico e culturale nel nostro paese dall’enologia: il vino rappresenta  certamente un emblema dell’ottimo made in Italy all’estero, soprattutto in  quanto felice sintesi di tradizioni passate che hanno saputo sopravvivere  e  integrarsi con i tempi moderni.  Sembrerebbe essere proprio questo che rende i vini campani fra i più apprezzati  in Italia e nel mondo e in fondo per utilizzare le parole del celebre  commediografo francese Molière “Grande è la fortuna di colui che possiede  una buona bottiglia, un buon libro, un buon amico.” 
         
                 
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