LA GALLERIA UMBERTO I
	       
	       
	     
Proprio di fronte al teatro San Carlo  s’impone l’elegante Galleria Umberto I. Versione moderna dell’agorà commerciale  con coperture e cupola vetrate, la galleria rispose all’esigenza di aprire nel  centro cittadino uno spazio pubblico rappresentativo sufficientemente vasto e  al riparo dai fattori meteorologici. Alla funzione sociale e commerciale cui  doveva assolvere, poi, si volle aggiungere la monumentalità perché la nuova  struttura non sfigurasse al cospetto di quanto c’era nei suoi pressi: dal  Maschio Angioino alla basilica di San Francesco di Paola, dal teatro San Carlo  alla Reggia.
           
  Il posto scelto per la costruzione, dunque,  fu quello dove pulsava il cuore della Napoli più rappresentativa: la facciata  con colonnato fronteggiava quella del teatro San Carlo; degli altri quattro  ingressi, il primo per importanza si apriva sulla più animata strada della  città, via Toledo, due su via Santa Brigida e via Verdi, mentre l’ultimo, il  più discreto, sul vico Rotto San Carlo. 
  
  Iniziata nel 1887, la costruzione venne  ultimata nel 1890. Ne risultò un manufatto dai connotati che, senza essere  competitivi rispetto alla più vasta galleria Vittorio Emanuele II di Milano,  costruita vent’anni prima, erano di tutto rispetto: l’imponente copertura in  ferro e vetro e l’elegante pavimento in marmi policromi con disegni geometrici  rendono luminoso il grande ambiente (circa 1000 mq, alto 35 metri, con il  vertice della cupola a 57 metri). Botteghe al pianoterra; uffici, studi  professionali, ateliers di moda, redazioni di giornali e pensioni negli  ammezzati e nei tre piani che affacciavano all’interno della galleria in una  profusione di motivi ornamentali, bassorilievi e aerei colonnati sugli ingressi  principali. 
  
  Fu la più importante opera dell’età umbertina a Napoli. Oltre ai  locali per il commercio, un piccolo teatro sotterraneo era stato costruito a  pochi metri dall’ingresso di via Toledo, destinato a ospitare concerti da  camera. Ma nel volgere di pochi mesi, all’interno del Salone Margherita (questo  il nome del teatro), nonché le note dei quartetti d’archi, presero a risonare  quelle più frivole dell’orchestra del Varietà, legando indissolubilmente il  nome del locale alla mitica Belle époque napoletana. Per oltre vent’anni il  Salone Margherita ebbe l’esclusiva della vita notturna: un lembo di Parigi  trapiantato nei sotterranei della galleria Umberto. Alle attrattive di questo  luogo di perdizione non rimasero insensibili   neanche i più alti ingegni del tempo, da Salvatore Di Giacomo a Gabriele  d’Annunzio, da Ferdinando Russo a Roberto Bracco, da Eduardo Scarfoglio a Francesco  Crispi e allo stesso principe ereditario. 
  
  Tra i frequentatori diurni della  galleria, spiccava la popolazione stanziale degli attori e dei professori  d’orchestra in cerca di scrittura, sempre in attesa di un impresario o di un  confratello che portasse la notizia della formazione di una nuova compagnia  teatrale o di un complesso strumentale. Gli affari prosperavano: farsi lustrare  le scarpe in galleria faceva parte degli impegni quotidiani di gentiluomini e  borghesi. Uscita integra dai cento e più bombardamenti, dalla sua costruzione  la galleria è stata, nel bene e nel male, testimone delle vicissitudini grandi  e minute della città di cui è uno dei simboli.
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