IL TEATRO SAN CARLO

	     
Oltre il Palazzo Reale, nell’attigua piazza  Trieste e Trento, troneggia il prestigioso Teatro San Carlo, progettato da  Giovanni Antonio Medrano per volere di Carlo III di Borbone. Quando nel 1734 costui  salì al trono del Regno delle Due Sicilie, Napoli tornò ad essere capitale.  Sovrano illuminato, re Carlo decise che la città avrebbe dovuto avere un grande  teatro; come area scelse quella più vicina al Palazzo Reale, che in questo modo  avrebbe potuto essere collegato anche internamente al teatro.
           
           I lavori di costruzione, iniziati nel marzo  del 1737, si conclusero in poco tempo, giusto per l’inaugurazione del teatro,  prevista in occasione dell’onomastico del re: il 4 novembre dello stesso anno.  Opera rappresentata per l’inaugurazione fu l’Achille in Sciro di Metastasio, su musica di Domenico Sarro. 
           Da quel momento il teatro San Carlo visse  una duplice vita, fatta di fama e di preoccupazioni: da una parte i successi  clamorosi delle prime rappresentazioni di opere quali il Mosè di Gioacchino Rossini, La  sonnambula di Vincenzo Bellini, Lucia  di Lammermoor di Gaetano Donzietti, dall’altra gli incendi. 
           
           La notte del 3 febbraio 1816 il fuoco  distrusse a tal punto il teatro che la città si mise a lutto e i giornali di  mezza Europa ne parlarono con emozione. Dopo soli dieci mesi, per ordine di  Ferdinando I di Borbone, il teatro risorse. Venne rispettata la pianta del  Medrano: la sala lunga 28,60 metri e larga 22,50, con 184 palchi disposti su  sei ordini, variamenti decorati, ai quali si aggiungeva il palco reale,  sormontato dalla corona del Regno delle due Sicilie. L’incarico fu affidato ad  Antonio Niccolini, che introdusse alcune importanti innovazioni, come il  portico sulla facciata, che funge da diaframma tra esterno ed interno; il  palcoscenico venne ampliato e il soffitto fu dipinto da Giuseppe Cammarano sul  tema Apollo che presenta a Minerva i più  grandi poeti del mondo. 
           Le decorazioni furono realizzate in tinte  tenui “perché i vari colori delle vesti e  degli abbigliamenti degli spettatori avessero un campo semplice ove poter  brillare”, come spiegò il suo ideatore: tra velluti e luminarie si  glorificavano i riti della corte napoletana. Era consuetudine non applaudire e  vigeva il divieto di richiedere bis, privilegi riservati al sovrano. 
           
           La bellezza del teatro fu esaltata da  Stendhal che in occasione della sua seconda inaugurazione, il 12 gennaio 1817,  scrisse “… Non c’è nulla in tutta Europa  che non dico si avvicini a questo teatro, ma ne dia la più pallida idea. Gli  occhi sono abbagliati, l’anima rapita…”. Quasi due secoli dopo, il maestro  Riccardo Muti, dal  podio, rivolgendosi  al pubblico plaudente, avrebbe detto: “E’  il teatro più bello del mondo”. 
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