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Quando la parola è pietra: storia, scritti e curiosità
su un misterioso e debilitante mal di testa
non contemplato nei sistemi classificativi ufficiali



La cefalea attribuita a jettatura

di Franco Salerno*

Anche il grande filosofo Benedetto Croce disse: “Non è vero, ma ci credo!”. Alludeva alla jettatura, che nella mentalità popolare è annoverata tra le cause più radicate di cefalea, soprattutto nella sua forma più devastante, chiamata il “chiodo solare”: un dolore capace di trafiggere il paziente come un chiodo che ha la forza di penetrazione di un vivido raggio solare.
La jettatura resta tuttora nel vocabolario folklorico un mistero così terribile, eppur così definito, tanto da vantare anche un suo teorico ufficiale, autore di un vero e proprio “manifesto”, che analizza storie e segreti di questo, che tra gli arcani, è senz’altro il più “affascinante”. Il nome del Nostro, forse non noto a molti, è Nicola Valletta, coltissimo giurista, che nel 1787 scrisse la Cicalata sul fascino volgarmente detto jettatura, un’opera che fu la prima di una lunga serie di studi di altri intellettuali sull’argomento.

Nicola Valletta nacque nel 1748 ad Arienzo, in provincia di Caserta. Enfant prodige del Diritto e delle Lettere, egli, illuminista e razionalista, è (mistero nel mistero!) "affascinato" dal tema della jettatura o fascino, a cui tra l'altro attribuisce la morte di una sua figlia di nome Rosa. Al  "malocchio" dunque egli crede, come  -secondo lui- vi credevano già gli  antichi, se è vero che  essi facevano sedere le loro spose sull' effigie di Priapo per difenderle dalla sterilità. 
Tutti gustosi, poi, gli esempi che don Nicola affastella, per convincerci dell'esistenza della jettatura. Egli comincia con il regno animale: singolare il caso di una persona che aveva le convulsioni, se nei paraggi c'era, da lui non visto, un pipistrello. Dagli animali alle piante (attenti -ci avverte Valletta- al rosmarino e all'alloro!) e, naturalmente, agli uomini, che jettano con gli occhi, con il tatto e con le parole: buona regola è, pertanto, non esagerare con le lodi non solo verso gli altri, ma anche verso se stessi, perché può portar male. Anche i genitori devono limitare i loro giudizi positivi nei confronti dei figli, perché il malocchio è in agguato.

Da questi malèfici effetti ci si può difendere innanzitutto capendo la sostanza del fenomeno, che è dovuto alle vibrazioni fisiche o "effluvi", i quali, partendo dallo jettatore, colpiscono le fibre del cervello della vittima. Quest'ultima perde la sua identità coscienziale, sì che dice: "Io non sono più io e dentro di me non mi trovo". Si tratta, insomma, di quella condizione, analizzata in Sud e Magia da De Martino, il quale scoprì che i soggetti del mondo magico meridionale sono "agìti" da una forza superiore ed occulta.

La "diffusione per contagio" della jettatura raccoglie a Napoli i suoi frutti anche a livello letterario, sedimentandosi fortemente nell' immaginario popolare e collettivo. Ne proponiamo i più importanti: "occhio" alle date. Se La Cicalata, infatti, "vede la luce" nel 1787, già l'anno dopo, Gian Leonardo Marugi, nato nel 1753 a Manduria e vissuto a Napoli dal 1773, pubblica I capricci sulla jettatura. Tra le tesi più strabilianti è quella secondo cui il fascino, in cui peraltro l'autore crede, è capace di condizionare anche gli agenti atmosferici, effetto degli "influssi elettrici" dello jettatore.
Di costui delinea i "segni particolari": naso aquilino, colorito scuro, denti in fuori. Che cosa si può fare per premunirsi? Non vestir di tela e sputarsi tre volte al giorno sul petto. Evidente è il ruolo magico-apotropaico della saliva: essa si pone come simbolo di creatività e di distruzione in tale pratica rituale, che è un’ "altra faccia" laico-profana rispetto alla storia del miracolo di Cristo, che guarisce il cieco con la saliva. Passa un anno e il giurista Giuseppe Pasquale Cirillo scrive la commedia I Malocchi, il cui protagonista, jettatore a distanza, salendo su un campanile di Salerno, è capace di far giungere  il "malocchio" fino a Napoli.

La leggenda della jettatura si protrae con forza nella Napoli dell'Ottocento, secolo nel quale nemmeno i romanzieri sanno sottrarsi al fascino del fascino. Cominciamo da Francesco Mastriani, autore de La cieca di Sorrento (1852). Nel capitolo Jettatura, appena gli occhi dei due protagonisti, Carolina e il Conte di Montès, dotato di influssi malefici, si incontrano, è subito malocchio: altro che amore!  Lei lo abbandona e lui, vittima dei suoi  stessi poteri, si uccide.
Ancor più tragica è la storia di Jettatura (1856) di Théophile Gautier. Paolo, con la sua medusea bellezza, "ammalia" e fa ammalare Alicia; e, dopo un duello svolto ad occhi bendati con il rivale, da lui poi ucciso, si acceca e, trovata morta l'amata, si getta dall'alto di una rupe.
Oggi ci chiediamo: riuscì la rimozione letteraria ad avere la meglio sui malefìci della jettatura? Forse anche Valletta avrebbe detto di no, perché, proprio mentre egli auspicava la nascita di scuole che la debellassero, paradossalmente nel Regno di Napoli nasceva il più celebre jettatore di tutti i tempi: Cesare Della Valle, Duca di Ventignano. Su di lui sono fiorite le più variopinte leggende, che riportiamo come le abbiamo raccolte dalle fonti, tra cui primeggia il Corricolo dello scrittore francese Alessandro Dumas.

Quando Cesare nacque, la madre morì. Sospetti erano i tratti del suo volto: labbra sottili, occhi grossi e fissi, naso ad uncino. Fin da bambino, fu "guardato a vista": lo stesso giorno in cui entrò in Seminario per avviarsi alla carriera ecclesiastica, tutti gli allievi furono colpiti da un'epidemia da pertosse. Quando, finiti gli studi, decise di entrare nel Convento dei Camaldoli, in quello stesso giorno fu approvato il decreto che sopprimeva le comunità religiose.
E, da grande, un giorno, dopo aver esaltato la bellezza di un lampadario in una casa nobiliare, esso inspiegabilmente cadde, frantumandosi in mille pezzi. Neanche i Pontefici scamparono al suo potere malefico. Sarà stata una coincidenza; ma il Papa Pio VII morì, dopo che il Duca di Ventignano gli baciò la mano. E, per concludere, un suo invito a corte, ottenuto dopo tanti dinieghi, fu l’inizio della fine della dinastia borbonica: Ferdinando II, consapevole del rischio che correva, si rassegnò ad inserirlo nella lista degli invitati per una festa, che non si tenne mai. Ferdinando morì misteriosamente di lì a poco.

Un'ultima domanda: perché questo filone del malocchio si è diffuso in modo particolare in Campania? Su cui incombe la surrealistica maschera di Totò, che investì  di ironia (“drammatizzandola”) il prototipo dello jettatore. E' difficile rispondere. Noi proviamo a ricordare che il suo radicamento è l'effetto di un compromesso -tipico degli intellettuali campani- fra il ricorso illuministico alla Scienza e l'accettazione della dimensione dell'Occulto, che anche per le menti razionalistiche è una realtà del tutto normale e naturale.
Questo perché anche esse sono figlie di un contesto di precarietà esistenziale, peculiare della civiltà del Sud, in cui è stato per secoli difficile prevedere l'irruzione del Negativo e la vita si è svolta entro un orizzonte di "non-storia" che ha sprigionato il suo terrifico fascino.

 

*Docente di Linguaggio giornalistico all’Università di Salerno

 



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