Atti del Congresso


IL MONITORAGGIO DELLE PRESTAZIONI ED I CRITERI DI ACCREDITAMENTO DELLE STRUTTURE IN ACCORDO CON LA LEGGE 38

PERFORMANCES’ MONITORING AND RECRUITMENT’S CRITERIONS
OF THE STRUCTURES AS L. 38


A. Crisci, Professore Associato di Medicina Legale, Università degli Studi di Salerno -Responsabile U.D. di Medicina Legale, Psicopatologia Forense e Psicologia Clinica, Azienda Ospedaliera Universitaria “S. Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” di Salerno

prof.crisci@tiscalinet.it


Parole chiave
: terapia dolore cronico, risk management

Introduzione
Secondo la definizione formulata dall’International Association for the Study of Pain (IASP) il dolore è individuabile in una esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole, associata ad un danno tessutale potenziale o in atto, o descritta nei termini di tale danno. Secondo Melzack e Casey l’esperienza dolorosa ha una natura multidimensionale: sensoriale–discriminativa; motivazionale– affettiva e cognitivo–valutativa.
L’esperienza sensoriale–discriminativa è rivolta all’identificazione dello stimolo sensoriale, in termini di localizzazione e di proprietà fisiche del dolore. L’esperienza motivazionale–affettiva, invece, determina l’attivazione dei riflessi autonomici sopraspinali (ventilazione, circolazione, funzioni neuroendocrine) stimolando la tonalità affettiva sgradevole del dolore e la spinta motivazionale dell’organismo a reagire ad esso. In ultimo, l’esperienza cognitivo–valutativa determina l’attivazione del sistema motorio (atteggiamenti antalgici, reazione di allontanamento, fuga, etc) e l’elaborazione della stimolazione dolorosa (nocicezione), in termini di memorizzazione, comparazione con esperienze passate, apprendimento, capacità di astrazione, attenzione e vigilanza, capacità di giudizio, intellettive, culturali e capacità di verbalizzazione.

Aspetti giuridici e legislativi
Il primo atto  formale, fondamentale  nella  storia  delle  cure palliative del dolore, in Italia, è rappresentato dall'emanazione della Legge 39 del 26 febbraio 1999, con la quale è stato previsto un  programma nazionale per la creazione di strutture residenziali di cure palliative (hospice) in tutte le regioni italiane. Ad oggi, trascorsi più di dieci anni dall'entrata in vigore della normativa, tali hospice in Italia sono 115, ma il livello di attuazione della rete assistenziale di cure palliative è ancora insoddisfacente. Infatti, a fronte del forte sviluppo degli hospice, si evidenzia una rilevante carenza nell'assistenza domiciliare e quindi rimane irrisolta una importante criticità che impedisce un completo diffondersi dell'assistenza palliativa.
Pertanto, il 15 marzo 2010 è stata emanata la Legge n. 38 (pubblicata sulla G.U. n. 65 del 19 marzo 2010) contenente “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”. Tale legge prevede la tutela del diritto del cittadino ad accedere, appunto, alle cure palliative ed alla terapia del dolore. All’art. 1 si legge che “è tutelato e garantito, in particolare, l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore da parte del malato, nell'ambito dei livelli essenziali di assistenza di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001 (…) al fine di assicurare il rispetto della dignità e dell'autonomia della persona umana, il bisogno di salute, l'equità nell'accesso all'assistenza, la qualità delle cure e la loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze (…) Le strutture sanitarie che erogano cure palliative e terapia del dolore assicurano un programma di cura individuale per il malato e per la sua famiglia, nel rispetto dei seguenti princìpi fondamentali:

  • tutela della dignità e dell'autonomia del malato, senza alcuna discriminazione;
  • tutela e promozione della qualità della vita fino al suo termine;
  • adeguato sostegno sanitario e socio-assistenziale della persona malata e della famiglia”.

In questa Legge, per Cure Palliative s’intende l’insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un'inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici. La dizione di Terapia del Dolore, invece, ricomprende l'insieme di interventi diagnostici e terapeutici volti a individuare e applicare alle forme morbose croniche, idonee e appropriate terapie farmacologiche, chirurgiche, strumentali, psicologiche e riabilitative, tra loro variamente integrate, allo scopo di elaborare idonei percorsi diagnostico-terapeutici per la soppressione ed il controllo del dolore.
Al fine di consentire il costante adeguamento delle strutture e delle prestazioni sanitarie alle esigenze del malato, garantendo i livelli essenziali di assistenza, con la L. 38/2010 il Ministero della Salute attiva una specifica rilevazione sui presìdi ospedalieri e territoriali e sulle prestazioni assicurate in ciascuna regione dalle strutture del Servizio Sanitario Nazionale, nel campo delle cure palliative e della terapia del dolore, al fine di promuovere l'attivazione e l'integrazione delle due reti a livello regionale e nazionale e la loro uniformità su tutto il territorio nazionale. A tal scopo, vengono individuate le figure professionali con specifiche competenze ed esperienza nel campo delle cure palliative e della terapia del dolore, anche per l'età pediatrica, con particolare riferimento ai medici di medicina generale ed ai medici specialisti in anestesia e rianimazione, geriatria, neurologia, oncologia, radioterapia, pediatria, ai medici con esperienza almeno triennale nel campo delle cure palliative e della terapia del dolore, agli infermieri, agli psicologi ed agli assistenti sociali nonché alle altre figure professionali ritenute essenziali.
Vengono stabiliti, inoltre, i requisiti minimi e le modalità organizzative necessari per l'accreditamento delle strutture di assistenza ai malati in fase terminale e delle unità di cure palliative e della terapia del dolore domiciliari presenti in ciascuna regione, al fine di definire la rete per le cure palliative e la rete per la terapia del dolore, con particolare riferimento ad adeguati standard strutturali qualitativi e quantitativi, ad una pianta organica adeguata alle necessità di cura della popolazione residente e ad una disponibilità adeguata di figure professionali con specifiche competenze ed esperienza nel campo delle cure palliative e della terapia del dolore, anche con riguardo al supporto alle famiglie.
Per l’attuazione di quanto previsto dalla L. 38/2010 il 16 dicembre 2010 è stato sottoscritto l’Accordo ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sulle linee guida per la promozione, lo sviluppo e il coordinamento degli interventi regionali nell'ambito della rete di cure palliative e della rete di terapia del dolore (Rep. atti n. 239/CSR) (11A00318) (G.U. Serie Generale n. 13 del 18 gennaio 2011) che prevede l’istituzione di Reti Assistenziali contro il Dolore, costituite da:

  • Centri di riferimento di terapia del dolore (hub)
  • Ambulatori di terapia antalgica (spoke)
  • Ambulatori dei MMG (triage per i centri hub e spoke).

Tali Reti Assistenziali, purtroppo, sono state sviluppate solo in poche regioni italiane; in particolare la Campania non si è dotata di una idonea legislazione per l’attuazione di una Rete che preveda l’equità di accesso alla terapia del dolore cronico per prossimità territoriale, per specificità di patologia e per complessità.

Aspetti medico-legali
Ciò premesso, andrebbero analizzati i possibili risvolti medico-legali in merito ad una non adeguata gestione e/o terapia del dolore cronico.
Infatti, ogni qual volta un paziente, domandando assistenza che migliori la sua condizione di salute, al contrario riscontri un danno dall’atto sanitario, si verifica il fallimento, non solo della singola prestazione, ma dell’intero sistema che viene meno alla sua missione. La prevenzione degli eventi indesiderati trova nel “Risk Management” uno degli strumenti più efficaci, ancorché, nella sua originale rappresentazione, esso sia stato caratterizzato soprattutto da un’impostazione “difensiva”, finalizzata a ridurre la frequenza degli incidenti professionali e dei danni ai pazienti, le possibili rivendicazioni ed i costi che ne derivano. In realtà, secondo una più corretta e moderna interpretazione, il Risk Management è una procedura finalizzata al miglioramento della qualità delle cure e lo studio degli eventi indesiderati uno strumento utile a promuovere l’approccio al “litigation management” (gestione del contenzioso). In quest’ottica, il Clinical Risk Management si presenta come un approccio all’identificazione ed al controllo dell’“evento avverso”, inteso come tale qualunque danno, non intenzionale, o complicanza nelle cure, che causi disabilità, decesso o prolungamento della degenza e che sia causato dalle cure (effettuate od omesse) piuttosto che dalla malattia del paziente.
Come ribadito anche dal Codice di Deontologia Medica, il medico deve operare al fine di garantire le più idonee condizioni di sicurezza del paziente e deve contribuire alla prevenzione e gestione del rischio clinico anche attraverso la rilevazione, segnalazione e valutazione degli errori. Ciò è valido soprattutto per i professionisti che operano nel campo della medicina legale, che d’ora in avanti perde i connotati della Medicina del “Day After” per assumere quelli fondamentali della Medicina del “Day Before”.
Il Clinical Risk Management si attua su tre livelli:

  • Informazione e Consenso
  • Cartella Clinica
  • Linee Guida/Protocolli

Uno dei cardini della gestione del rischio clinico è rappresentato dal Consenso Informato, non tanto nella consueta chiave di lettura giuridica (validità del consenso in relazione all’età, alle condizioni psicofisiche ecc.), quanto come fondamentale processo di comunicazione, nel quale il medico si gioca ampia parte della fiducia del paziente. Un trattamento medico-chirurgico, se compiuto secondo le regole dell’arte medica, ma senza il valido consenso del paziente, costituisce, a meno che non si verta in stato di necessità, un fatto civilmente illecito ed un delitto contro la libertà. Il consenso informato è, in pratica, lo strumento attraverso il quale si cerca di umanizzare e rasserenare il rapporto medico-paziente, espressione del riscoperto valore della centralità dell’uomo, a cui viene restituita una nuova autonomia ed una maggiore dignità. Il consenso informato, quindi, ancor prima che cardine deontologico ed ineludibile obbligo giuridico, deve rappresentare la prova non legale, ma bensì morale dell’esigenza che ogni professionista avverte nella pratica quotidiana di informare e di acquisire il consenso consapevole del paziente. Appare evidente come il perimetro del consenso non può ritenersi di dimensioni sconfinate, né uguale per tutti, perché l'informazione che esso racchiude deve essere personalizzata alle peculiarità psicologiche del paziente, al suo stato di malattia ed alle possibilità della terapia, in un’armonica sintesi tra la promozione in autonomia dei suoi processi decisionali e l'ineludibile rispetto del principio etico e giuridico della non maleficenza. Ad esempio, le interferenze negative del dolore sulle capacità di discernimento del paziente devono essere valutate, poiché potrebbero determinare un’inadeguata scelta tra i trattamenti proposti od una inadeguata osservanza degli stessi, causando una turbativa del processo di comunicazione e di informazione tra medico e paziente ed una eventuale invalidazione del Consenso Informato.
Altro elemento fondamentale per la gestione del rischio clinico è la cartella clinica e la documentazione sanitaria in generale. Per definizione, la cartella clinica rappresenta il fascicolo nel quale si raccolgono i dati anamnestici ed obiettivi riguardanti il paziente ricoverato, quelli giornalieri sul decorso della malattia, i risultati delle indagini e delle analisi effettuate, quelli delle terapie praticate ed infine la diagnosi della malattia che ha condotto il paziente in ospedale. La Cassazione Penale (Sez. unite 27.03.92) ha affermato che la cartella clinica è un “diario diagnostico terapeutico, nel quale vanno annotati fatti di giuridica rilevanza, quali i dati anagrafici ed anamnestici del paziente, gli esami di laboratorio e specialistici, le terapie praticate, nonché l’andamento, gli esiti e gli eventuali postumi della malattia”. I requisiti sostanziali della cartella clinica possono essere sintetizzati in:

  • Requisito di veridicità
  • Requisito di completezza
  • Requisito di correttezza
  • Requisito di chiarezza

Più volte la giurisprudenza è intervenuta nel chiarire l’obbligo della contemporaneità della redazione della cartella clinica con l’evento che si descrive. Tale obbligo, seppur non inteso in senso rigoroso, deve osservare due limiti: la cartella clinica deve essere vergata in corso di degenza e con una sequenza cronologica della registrazione degli eventi.
La Legge 38/2010, all’art. 7, prevede che “all'interno della cartella clinica, nelle sezioni medica ed infermieristica, in uso presso tutte le strutture sanitarie, devono essere riportati le caratteristiche del dolore rilevato e della sua evoluzione nel corso del ricovero, nonché la tecnica antalgica e i farmaci utilizzati, i relativi dosaggi e il risultato antalgico conseguito (…)”. Compare, dunque, per la prima volta l’obbligo ad inserire il parametro “dolore”.
Per quanto attiene il trattamento del dolore cronico, deve essere riportata in cartella una descrizione accurata di:

  • sintomatologia e decorso (sede, intensità, etc);
  • monitoraggio dei parametri clinici correlati;
  • informazione e consenso;
  • indicazioni terapeutiche (sostanza, tempi, dose, etc);
  • segnalazione di qualsiasi evento anomalo.

Considerazioni conclusive
In conclusione, lo sviluppo di una Rete regionale di terapia del dolore dovrebbe essere uno degli obiettivi inseriti all'interno del Piano Socio-Sanitario Regionale. Inoltre la struttura ospedaliera dovrebbe gestire solo i casi complessi, coinvolgendo, invece, nel processo assistenziale la figura del medico di medicina generale ed introducendo il concetto di rete assistenziale anche nel campo della lotta al dolore. E' necessario sviluppare un modello di erogazione dei servizi centrato sul paziente, la persona e la sua famiglia, in grado di offrire ai bisogni del malato risposte adeguate e di qualità. Il modello dovrebbe andare nella direzione di promuovere la crescita dei servizi coniugando integrazione e competizione in una logica di rete, stimolando la sussidiarietà e indirizzando le risorse in maniera efficiente verso i bisogni, in maniera da garantire non solo livelli massimi di efficacia per la cura delle differenti patologie, ma anche la 'continuità delle cure' tra ospedale e territorio, coinvolgendo tutti i professionisti che intervengono sul paziente.


Riferimenti bibliografici

  • Accordo, ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sulle linee guida per la promozione, lo sviluppo e il coordinamento degli interventi regionali nell'ambito della rete di cure palliative e della rete di terapia del dolore. (Rep. atti n. 239/CSR) (11A00318) (G.U. Serie Generale n. 13 del 18 gennaio 2011)
  • Bates DW, Gawande AA. “Error in Medicine: what have we learned?” Ann Intern Med 2000;132:763-7.
  • Brennan TA. “The Institute of Medicine Report on Medical Errors – could it to harm?” N Engl J Med 2000;342:1123-5.
  • Melzack R, Casey KL. The Skin Senses. Springfield, IL: Charles C Thomas, 1968.
  • Nightingale PG et al. “Implementation of rules based computerised bedside prescribing and administration: intervention study”. BMJ 2000;320:750-3.
  • Hebert PC et al. “Bioethics for physicians: 23. Disclosure of medical errors”. CMAJ 2001;164:509-13.
  • “Risk Management in Sanità. Il problema degli errori”. Ministero della Salute italiano, Dipartimento della Qualità, Commissione Tecnica sul Rischio Clinico. Marzo 2003.
  • Weingart SN et al. “Epidemiology of medical error”. BMJ 2000;320:774-7.