Atti del Congresso


I NUOVI FARMACI ANTIEPILETTICI E IL LORO POSSIBILE RUOLO
NEL TRATTAMENTO DELL’EMICRANIA INTRATTABILE

 

NEW ANTIEPILEPTIC DRUGS AND THEIR POSSIBLE PLACE
IN THE TREATMENT OF INTRACTABLE MIGRAINE

 

G. Liguori - Servizio di Neurofisiologia Casa di Cura “Villa Chiarugi”,  Nocera Inferiore

 

giuliguori@libero.it

 


Parole chiave
: Farmaci antiepilettici, Emicrania intrattabile

 

Sommario: l’emicrania non responsiva ai trattamenti rappresenta una condizione particolarmente invalidante per il paziente e una vera e propria sfida per il medico. I nuovi farmaci antiepilettici che hanno  affiancato i farmaci tradizionali, dimostrando in generale pari efficacia e maggiore maneggevolezza, sono stati adoperati in diverse patologie rispetto alle indicazioni iniziali, con buoni risultati. In particolare alcuni di essi hanno dimostrato una particolare efficacia nella profilassi dell’emicrania. Viene esaminato il ruolo possibile di essi e, in particolare, del Topiramato nel trattamento delle forma croniche di cefalea sia per la loro profilassi sia nel loro trattamento, talora in terapie di combinazione .

 

Introduzione

A partire dagli anni 90 è stata introdotta nella pratica clinica un notevole numero di farmaci antiepilettici (FAE) che hanno affiancato i farmaci tradizionali dimostrando in linea di massima una efficacia comparabile e dai quali sembrano differenziarsi in generale per una maggiore tollerabilità, per minori interazioni farmacologiche, non essendo la maggior parte di essi inibitori enzimatici, e per meccanismi di azione talora innovativi  [1]. Nello stesso periodo è apparso sempre più evidente che condizioni patologiche caratterizzate da manifestazioni critiche, pur diverse tra loro, quali sono l’Epilessia e la Cefalea emicranica, possono condividere alcuni meccanismi fisiopatologici [2]  e che i farmaci utili per il trattamento dell’Epilessia sembravano presentare notevole efficacia anche nel trattamento profilattico della cefalea emicranica e, per alcuni di essi, per il trattamento del dolore neuropatico [3]. L’efficacia di tali farmaci è riferibile alla loro interferenza con i canali ionici e/o alla loro azione sui recettori eccitatori glutammergici e/o su quella inibitoria dei recettori GABAergici [4] attraverso cui essi possono diminuire l’abnorme  eccitabilità cerebrale e proteggere i neuroni vulnerabili in condizioni di alte domande energetiche correlate con la loro iperattività [5].

Tra i nuovi FAE numerosi trial terapeutici con il Topiramato (TPM) hanno dimostrato la sua efficacia nella profilassi degli attacchi di emicrania, essendo esso in grado di ridurre in maniera significativa il loro numero e la durata media dei giorni di cefalea rispetto alla baseline [6], mentre per altri  nuovi FAE, fatta eccezione per il Gabapentin (GPT), sono stati condotti studi limitati o in aperto che, pur evidenziando una loro potenziale efficacia, non hanno raggiunto una sufficiente evidenza tale da consentirne l’uso  sistematico in profilassi.

 

Emicrania intrattabile

Ritenuta in genere come una condizione tipicamente episodica, con attacchi che si ripetono a distanza varia di tempo, la cefalea emicranica è invece spesso una condizione a carattere progressivo con attacchi che in molti pazienti diventano via via più frequenti e di maggiore intensità fino ad occupare gran parte delle giornate. Tale processo di cronicizzazione è indicato come  emicrania trasformata (ET) o emicrania cronica (EC) che è considerato un sottotipo della cosiddetta Cefalea cronica quotidiana [7], Nel concetto di Emicrania intrattabile o emicrania refrattaria (ER), spesso identificato con quello di EC, è invece implicito il concetto della mancata risposta ai farmaci che abitualmente vengono utilizzati nel trattamento della cefalea, sia in acuto, per stroncare gli attacchi, sia in cronico per prevenire e ridurre la frequenza di essi. In tale concetto è implicito che i farmaci siano stati adoperati in maniera congrua, a dosi adeguate e per tempi sufficientemente lunghi, o che essi siano stati dismessi per effetti insoddisfacenti o per intollerabili effetti collaterali [8]. Secondo i criteri proposti dalla Refractory Headache Special Interest Section dell’American Headache Society,  nella definizione di ER deve esser incluso anche il concetto di significative interferenze della cefalea nella funzione e nella qualità della vita nonostante la modifica dei fattori scatenanti, degli stili di vita e nonostante adeguati trials con farmaci di provata efficacia [9].

In base ad alcuni studi di popolazione i pazienti sofferenti di Cefalea cronica quotidiana (CCQ), comprendenti sia pazienti con EC che pazienti con cefalea tensiva cronica, lamentano per il 68% dei casi cefalea frequente ma non giornaliera, per il 15% cefalea giornaliera e per 1l 17% cefalea continua; questi ultimi sono complessivamente più anziani e presentano una maggiore durata di cefalea cronica [10].

Nel processo di cronicizzazione dell’emicrania sono implicati svariati fattori di rischio che vengono indicati come fattori non modificabili, comprendenti il sesso femminile, l’età, il basso livello socio economico e culturale ed eventuali traumi cranici e fattori modificabili comprendenti, a loro volta, eventi stressanti della vita, disturbi del sonno quali russamento e apnee da sonno, obesità, depressione, abuso di caffeina ed infine, tra i più importanti, la elevata frequenza degli attacchi all’origine e l’abuso di farmaci antiemicranici [11].

Il trattamento della EC è tra i compiti più ardui: in generale i pazienti che ne sono affetti sono donne, obese, depresse e ansiose, sofferenti di altre forme di dolori cronici e che spesso fanno abuso di farmaci. Il primo compito di tale trattamento è quello di identificare i fattori di rischio e di tentare di modificarli cambiando ove possibile lo stile di vita, eliminando quelle condizioni potenzialmente dannose (abuso di caffeina, modalità di sonno), e di limitare l’uso di farmaci per il dolore acuto seguito dall’iniziare un trattamento farmacologico preventivo al quale possono  eventualmente affiancarsi trattamenti per le eventuali comorbidità quali i disturbi neuropsichici e di altre condizioni che poterebbero incrementare la frequenza degli attacchi di cefalea [12]. Nell’ambito di un trattamento farmacologico dell’emicrania cronica possono inserirsi i nuovi FAE

 

Studi con i nuovi FAE

Diversi tra i nuovi FAE sono stati utilizzati in studi, controllati e non, nel trattamento dell’EC. Tra questi il farmaco maggiormente studiato è stato il TPM. In particolare sono stati effettuati due studi randomizzati in doppio cieco rispettivamente in USA [13] e in Europa [14] utilizzando TPM alla dose di 100 mg in pazienti con EC. Lo studio americano comprendeva 306 pazienti il 37,6% dei quali con “medication overuse” (MO) mentre lo studio europeo, più piccolo, comprendeva 59 pazienti la maggior parte dei quali con MO (78%). Nel primo di  questi studi, ove l’outcome primario era  la variazione rispetto alla baseline nella media del  numero mensile di giorni con cefalea durante l’intera fase di doppio cieco, ne fu riscontrata una significativa riduzione (6.4±5,8 giorni) comparata al placebo (4,7 ± 6,1 giorni, p = 0,01). Nello studio europeo a sua volta, con un outcome costituito dalla variazione della media mensile dei giorni di cefalea alla fine della fase di doppio cieco, ne venne riscontrata la significativa riduzione rispetto al placebo (-3,5±6,3 giorni e 0,2±4,7 giorni rispettivamente, p = 0,02) e anche i pazienti con MO riportarono una significativa riduzione, indipendentemente dal continuare l’assunzione di farmaci sintomatici. Un ulteriore studio controllato e randomizzato in doppio cieco [15], ha confrontato gli effetti della cessazione o della prosecuzione del trattamento con TPM per almeno 6 mesi verificando che, dopo un fase in aperto di 4 – 8 settimane, i pazienti che continuavano in doppio cieco il TPM mostravano un minore incremento medio dei giorni di cefalea rispetto a quelli che assumevano placebo (rispettivamente 0,10 giorni in 4 settimane rispetto a 1.19 giorni).

Tra gli altri nuovi FAE soltanto per il Gabapentin (GPT) è stato effettuato uno studio controllato e randomizzato in doppio cieco nella profilassi dell’EC nel quale 133 pazienti con emicrania furono randomizzati verso 2400 mg di GPT o verso placebo mostrando che, dopo 6 settimane, vi era stato tra i primi un aumento medio del 9,1% dei giorni liberi da cefalea [16].

Per altri nuovi FAE, come per Pregabalin (PGB), Tiagabina (TGB), Levetiracetam (LEV), Zonisamide (ZNS), Lamotrigina (LTG)  sono stati effettuati solo studi in aperto, spesso di piccole dimensioni, che in genere sembrano mostrare un miglioramento con riduzione dei giorni di cefalea nei pazienti trattati. Tra questi studi in uno studio spagnolo [17] ZNS alla dose massima di 100 mg/die fu somministrata in 172 pazienti con cefalea cronica refrattaria non responsivi al trattamento con TPM con risposta positiva (diminuzione del numero degli attacchi di almeno il 50%) nel 44% dei casi ed “eccellente” nel 22% di essi. Per quanto riguarda LTG, potrebbe essere segnalata la sua potenziale efficacia nella profilassi dell’emicrania con aura, essendo stati registrati risultati favorevoli in studi in aperto [18].

 

Ruolo dei nuovi FAE

Sulla base dei dati della letteratura e dei trial effettuati nell’utilizzo dei nuovi FAE nel trattamento dell’EC si può innanzitutto ipotizzare che in primo luogo essi, e in particolar modo TPM, possono essere utili nel trattamento preventivo allo scopo di ostacolare la cronicizzazione della cefalea emicranica. Infatti tra i principali fattori di rischio per un’eventuale cronicizzazione è presente l’elevato numero di giorni di cefalea alla baseline, con un valore di rischio più elevato per una frequenza “critica” definita come un valore superiore di 10 giorni al mese [12] per cui ne consegue che un abbassamento di tale frequenza possa ridurre il rischio di sviluppare EC. Tale ipotesi è stata confermata da una metanalisi [19] che ha raccolto i dati di tre trials in pazienti con emicrania episodica randomizzati al trattamento con 100 mg di TPM (n=384) o con placebo (n=372) con riguardo al numero dei giorni di cefalea durante il periodo di 4 settimane di baseline e alla fine del periodo di trattamento, che ha mostrato che i pazienti trattati con TPM presentavano un significativo minor numero di giorni di cefalea rispetto ai pazienti nel gruppo trattato con placebo (4,1±4,2 e 5,6±4,9 rispettivamente, p < 0,001) con 8 pazienti nel primo gruppo e 16 pazienti nel secondo che rispondevano ai criteri IHSC di cefalea cronica. 

Accanto al ruolo preventivo di TPM nei confronti dell’EC, va considerato il suo possibile ruolo terapeutico nei pazienti che presentino già una condizione di EC. Tale ruolo deriva dalla dimostrata efficacia del farmaco negli studi sopramenzionati, efficacia che sembra prescindere da un’eventuale MO preesistente o concomitante

Per quanto riguarda il ruolo degli altra nuovi FAE esso appare più limitato e indicazioni in un loro possibile uso potrebbero derivare solo in casi particolari come nei non responsivi a TPM o che presentino  con esso effetti collaterali spiacevoli e tra questi, in particolare, si potrebbe indicare un possibile ruolo di ZNS che per molti versi presenta affinità strutturali e funzionali con TPM.

In ogni caso il ruolo dei nuovi FAE potrebbe essere inquadrato anche in possibili terapie di combinazione nelle quali, in casi particolari può essere tentata l’associazione di più farmaci per il trattamento di forme particolarmente resistenti di emicrania. In tale prospettiva, sebbene le esperienze di terapie in add on con i nuovi FAE consegnate alla letteratura siano limitate e non consentano una generalizzazione nell’uso clinico sistematico, è comune esperienza che un razionale approccio all’ER associando più farmaci possa essere utile laddove abbia fallito la monoterapia [20]. In tale prospettiva i nuovi FAE potrebbero risultare utili mediante i loro meccanismi d’azione combinati con i diversi meccanismi di azione dei farmaci tradizionali, tenendo anche conto degli effetti potenziali su altre condizioni patologiche che possono essere in comorbidità con la cefalea e possano in qualche modo aumentare il rischio di cronicizzazione (obesità, disturbi del tono dell’umore, ansia etc.).

 

Bibliografia

 

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