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Misteri e riti della Pasqua nell’Italia Meridionale

 

Ad Oriente della Morte

 

di Franco Salerno (*)

 

 

I riti primaverili pagani di resurrezione e le cerimonie pasquali ebraiche. La prima Pasqua, secondo San Cipriano, fu celebrata il 25 marzo, giorno dell'equinozio di primavera, data simbolica perchè in tal modo la Pasqua concentra in sè due eventi di vita e di trasmutazione: la creazione del mondo e l'incarnazione di Cristo.

In questa stessa data si svolgeva nel mondo pagano uno degli antichi riti dedicati ad un dio dell'area mediterranea, Attis, che, nato -secondo la leggenda- da Nana, dea della generazione, morì per autoevirazione il giorno stesso delle nozze, per poi rinascere a nuova vita.

Sempre collegata al ciclo stagionale, ai riti del sacrificio e del sangue e al tema del "passaggio" è la Pasqua ebraica (Pesah, infatti, letteralmente significa "passare oltre"), anch'essa una filiazione di arcaici riti rurali e sacrificali. Infatti gli antichi pastori ebraici, nel plenilunio del primo mese lunare dopo l'equinozio di primavera, effettuavano questo rito: immolavano i primi nati del gregge, il cui sangue veniva sparso sulle capanne per proteggere i pastori e le greggi da influenze demoniache e garantire la fecondità. Durante la festa notturna si effettuava una danza cultuale, con cui si alludeva ad un rituale “saltar oltre”.

All’offerta del sangue dell'agnello si riallacciava un'altra offerta, non piu sacrificale, bensì a livello vegetale: quella del primo covone di grano, che dopo la mietitura veniva portato al santuario, quindi in seguito ad un "viaggio-passaggio". Si trattava del rito della Settimana dei massot o azzimi: l'azzimo è il pane di farina fatto senza lievito. Ebbene, entrambi gli elementi (l'agnello sacrificale e l'offerta della primizia del grano) sono poi stati recepiti dalla tradizione cristiana, che si pone ad un livello più profondo e spirituale.

 

La Pasqua cristiana. Fu, in seguito, Sant’Agostino ad affermare e diffondere definitivamente il significato di Pasqua come “passaggio”, riprendendo un'intuizione di Origene, che ritenne inesatta l'etimologia fino ad allora diffusa, secondo cui Pasqua avrebbe voluto dire Passione. Per Sant'Agostino, dunque, si trattava del “passaggio” di Cristo, il quale attraverso la Passione giunge alla Morte, che poi Egli supera, pervenendo alla Vita. Da qui comincia la lunga storia delle tradizioni pasquali, che spesso, nella cultura folklorica dell’Italia Meridionale, ha imboccato strade impreviste e altamente suggestive. Noi abbiamo scelto le manifestazioni piu originali.

 

Giovedì Santo: il sepolcro e il silenzio. Con il Giovedì Santo inizia il cordoglio penitenziale per la morte di Cristo: in questo giorno il tabernacolo resta vuoto, in quanto le Sacre Specie sono riposte in un'urna, che funge da sepolcro, mentre i colori vivaci scompaiono dall'interno del tempio e le luci sono soffuse e ridotte. Nelle chiese, ma in modo particolare per le strade, in genere accanto o davanti alle edicole votive vengono allestiti i sepolcri, che costituiscono una sorta di camera ardente della "salma" del Cristo. Si tratta di strutture in legno ricoperte da drappi e adornate  di  fiori e di tipici piatti o vasi, nei quali sono stati piantati cereali -in genere grano- o legumi, fatti germogliare al buio, affinchè essi assumano un colore chiaro, tra il giallo e il verde.

Tipici sono taluni usi singolari collegati a questi sepolcri. Ad esempio, in Calabria, a Parghelia (Catanzaro) si usava mangiare lattuga e bere vino presso il sepolcro, oppure a Mandaradoni di Briatico (Catanzaro) il grano dei sepolcri viene sotterrato, insieme al rami d'olivo benedetti nella Domenica delle Palme, nei campi di grano e nei vigneti per ottenere un buon raccolto .I sepolcri vengono poi visitati dai fedeli secondo il rito dello struscio: così viene tuttora chiamata la lenta visita, che i fedeli compiono presso tutti i sepolcri del proprio paese. Molto congruo sembra il rilievo delle analogie fra lo struscio e l'arcaica cadenza del passo funebre processionale dei rituali funebri greco-romani.

La processione penitenziale più nota del Giovedi Santo, che si protrae fino al Sabato, è quella che si svolge a Taranto. I fedeli, incappucciati, sono chiamati perdune, penitenti in mantello e cappuccio bianco, che si muovono con una lentezza simile ad un dondolio, chiamato in dialetto tarantino nazzicare.

 

Il Venerdì Santo: l’incappucciamento e il vedere la morte. La giornata del Venerdì Santo rappresenta la fase culminante del dramma della Passione e, al tempo stesso, il momento in cui le tradizioni popolari dell'Italia meridionale rivelano quanto la vicenda di Cristo rifletta il dolore e la sofferenza delle classi subalterne del Sud.

Gli incappucciati in processione figurano in molti riti delle città campane: da Procida a Sorrento in provincia di Napoli, da Minori a Sarno in provincia di Salerno. In queste città il lento avanzare dei processionanti, talvolta scandito da funerei colpi di tamburi, rimanda ad arcaici riti mediterranei di mimesi della dimensione della Morte.

In particolare a Sarno gli incappucciati vengono chiamati paputi, termine derivante dal latino pappus, che significa vecchio. Simbolicamente dunque il paputo, che regge una croce lignea, è l'uomo vecchio, che "muore" al peccato per passare alla nuova vita rinnovata dall'esperienza del Sacro. Anche il cappuccio stesso (la cui etimologia si riallaccia a caput = "testa") ricorda il copricapo conico, che in genere veniva posto sulla testa dell'iniziando a cui erano stati tagliati o bruciati i capelli: era questa una delle prove o imprese, alle quali egli era sottoposto per essere ritenuto degno di far parte della comunità degli iniziati. 

I canti dei processionanti sarnesi sono struggenti e spesso aulici, eppur pregnanti di suggestioni popolari. Nei loro testi si dice che, mentre l'alta impresa della Crocifissione è gia compiuta, il fedele, proclamandosi di mille colpe reo, chiede a Cristo il coraggio di completare il doloroso viaggio della vita. L'imitazione di Cristo vittorioso sulla Morte conferisce al devoto una sicurezza che gli consente di affrontare i rischi materiali e morali dell'esistenza.

Le sensazioni sono provate in modo collettivo, nel senso che il fedele non può stare "fuori del clima": non ci sono spettatori in questi momenti di emozione coinvolgente. Tutti sono protagonisti. E nella Piazza (l’antica agora), che oggi ha perso il suo ruolo di educazione civile, subentra quella della necessità del riscatto morale. Attraverso il vedere, quasi il toccare la Morte di Cristo destinato a risorgere, la comunità dei fedeli pone in atto un grande e sacro "lamento funebre", con cui tutti interiorizzano la tragedia sublime dell'essere al mondo.

 

(*) Docente di Linguaggio giornalistico all’Università di Salerno

 

 

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